La sinistra italiana si è illusa che all'Europa potessero bastare i 500 milioni di cittadini complessivi e il primato mondiale nella manifattura per recitare un ruolo. Ciò non è accaduto e le policies incerte hanno fruttato l'allontanamento di voti e volti, molti dei quali si sono indirizzati al M5s. Nel mezzo, il renzismo e il suo glossario di “rottamazione punto e basta” che oggi offre un quadro frammentato dei democrat, a metà strada tra la ripartenza con la segreteria targata Martina e il grande interrogativo sui temi legati agli ultimi e al sociale.
Questo, in sintesi, il pensiero di Michele Fina, già collaboratore del Ministro della Giustizia Andrea Orlando e neo responsabile nazionale università e ricerca della segreteria Pd, che in questa conversazione con Impaginato.it perimetra la sinistra post-populismi, senza dimenticare la sua Regione.
Quell'Abruzzo dove dal 4 marzo ad oggi i vertici del partito non hanno deciso praticamente nulla.
D. La sinistra, dice Walter Veltroni, o accende un sogno o non è. Come attuare questa tesi dopo il renzismo?
R. Ho apprezzato di Veltroni il fatto che abbia fatto uno sforzo di profondità e anche di lettura storica: due abitudini che non avevamo più. In questo sforzo credo abbia messo qualche punto fermo di glossario, che non guasta a proposito di populismo e destra estrema. Aggiungo che se davvero tutto è cambiato, ciò è stato molto rapido nel quadro internazionale con le nuove destre occidentali, in quello nazionale con la radicalizzazione delle povertà e in quello politico con forze nuove balzate a un terzo dei consensi. Tale quadro ci deve portare a dire non che dobbiamo superare il renzismo, ma che serve ripensare il Pd.
D. Come?
R. In modo diverso da come lo abbiamo pensato alle sue origini con Veltroni. Quel Pd del 2007 aveva come cornice un quadro nazionale, internazionale e politico che oggi non c'è più. Per cui si ridefinisce un sogno se si riparte dalla realtà. Il sogno deve essere quello strumento che ci consente di parlare agli ultimi, visto che siamo una forza di centrosinistra, e indicando loro una prospettiva di realtà quotidiana attraverso la quale superare la loro condizione minoritaria.
D. Il primo passo?
R. Uscire dalla polemica quotidiana affrontata in questi mesi post elettorali e soprattutto, con la fine di agosto, togliere dal nostro vocabolario ciò che abbiamo realizzato con i nostri governi. Perché adesso, come opposizione, ci spetta proporre un'alternativa all'attuale governo, ma non una rivendicazone rancorosa di ciò che abbiamo fatto e di cui comunque sono personalmente orgoglioso, avendo vissuto da vicino l'azione di due ministeri.
D. Dopo la svolta del Lingotto e le esperienze legate a Bersani e al Nazareno, un significativo pezzo dell'elettorato di sinistra ne ha preso le distanze. Crede sia davvero riconducibile all'avvento del cosiddetto populismo oppure si possono serenamente cerchiare in rosso nomi e fatti?
R. Siamo stati in ritardo nel comprendere che è cambiato completamente lo scenario. Ad esempio, ho iniziato a fare politica negli anni dell'Ulivo. Era il 1994 e la discussione verteva su come costruire una storia nuova tra la socialdemocrazia e le esigenze di un mercato che si faceva globale. Oggi assistiamo al declino dell'occidente che, nella sua totalità, perde protagonismo e ricchezza globale. Per cui una porzione di mondo, che prima poteva aspirare ad un tenore di vita continentale per via di una condizione di dominio, oggi vive un progressivo ridimensionamento: con intere fasce di popolazione che hanno la percezione che le nuove generazioni non staranno meglio delle precedenti. Tale condizione non c'è mai stata nel periodo post bellico.
D. E oggi?
R. Oggi non solo c'è ma è radicata, determinando una sfiducia progressiva nei confronti delle istituzioni democratiche, arrivando a mettere in discussione l'autorità medica come quella dell'insegnante. Per cui si diffonde l'idea manzoniana di cercare un colpevole tra coloro che stanno in alto. Ecco perché non considero le forze antisistema al governo frutto del populismo, ma figlie di un contesto mutato, dove l'unica linea del governo è quella di Salvini che nel suo percorso è netta. In questo quadro in cui devono governare, il grillini rischiano sì di essere legati ad alcune posizioni di principio che non fanno identità politica come il taglio ai vitalizi e il reddito di cittadinanza, ma poi su tutto il resto sono subalterni alla guida leghista. Un passaggio percepito anche dall'elettoraro di sinistra che ha guardato con simpatia al M5s.
D. Nicola Zingaretti, candidato alla segreteria, replica marcando una distanza dalle elites. Un errore proprio adesso e solo dopo il crollo di Genova?
R. Credo si riferisse alla polemica con Macron. Quest'ultimo è effettivamente espressione di una certa idea di Europa, ma mi preme precisare un passaggio. Se il nuovo fronte democratico, anche quello ampio tratteggiato negli utimi giorni da Cacciari, guarda alla nuova Europa conservandola così com'è, allora è destinato a perdere. L'Europa è stata un sogno e noi non dimentichiamoci che abbiamo pagato una tassa per aderirvi come Paese fondatore. Quel sogno obiettivamente è stato tradito.
D. Si può ricostruire un sogno europeo?
R. Sì, ma prescindendo da chi ne è stato protagonista. Noi abbiamo già provato a fare l'occhiolino al populismo e alla fine il fenomeno Renzi ha intercettato non solo l'elettorato berlusconiano ma l'idea stessa della rottamazione punto e basta. Il suo sogno era rottamazione e ritorno alla vittoria. Così non è stato. Per cui non troveremo una formula dall'alto, ma spiegando per bene perché l'Europa è importante e perché serve difenderla. E dobbiamo rafforzarla per renderla capace di rocostruire un sogno.
D. La sinistra italiana ad un bivio: rischia di doversi identificare in quel Tsipras che prima ha ululato contro la troika e poi ha avallato tagli lacrime e sangue, o in quel Macron tanto caro a Calenda?
R. Penso ad una terza via. Le ricette di Tsipras e Macron, entrambe iscritte nella crisi dell'occidente e quindi in un'idea di welfare socialdemocratica, sono risposte ad un'altra domanda. Oggi è cambiata la domanda. Noi dovremo avere la capacità di costruire una forza europea popolare che sia in grado, non di trovare un altro nemico come fa la destra estrema di Salvini e Orban, ma di individuare un'altra possibilità di Europa per l'occidente.
D. Per chiudere il Pd d'Abruzzo: forse c'è la data per l'assemblea regionale. Un po'in ritardo rispetto al trend nazionale?
R. Il ragionamento appena fatto sul partito nazionale si traduce sul piano locale solo con un elemento di forte discontinuità da se stesso. A differenza del Nazareno, con il nuovo corso di Martina appena iniziato, in Abruzzo non abbiamo prodotto neanche un piccolo passo avanti. Dopo il 4 marzo non si è fatto nulla dopo che in molti lo chiedevano. Il risultato è stato un completo immobilismo. Non c'è nulla di concretamente nuovo: né programmi, né idee, né iniziative. E non dobbiamo rinnovare solo perché ci sono le elezioni regionali ma, più semplicemente, per non scomparire.
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