Con più del 95% delle presenze la dott.ssa Maria Amato, deputato di Vasto del Pd, è una delle stakanoviste della Camera. Il suo lavoro personale (primario nel nosocomio di Vasto) l'ha portata a dare il proprio contributo nella commisione sanità, dove negli ultimi anni si è discusso di una legge molto peculiare per il comparto italiano, quella sulla responsabilità dei medici, la cosiddetta Gelli-Bianco.
In questa lunga conversazione con Impaginato Quotidiano, l'on. Amato entra nel merito di questa legge e racconta anche come sta in salute la politica abruzzese e in modo particolare quella della sua provenienza politica.
Domanda. Tra i non candidati alle prossime politiche, oltre al suo nome, ci sono anche quelli della commissione sanità: una casualità?
Risposta. Si diceva che io avessi un inquinamento regionale, per cui le condizioni per non ricandidarmi le ho espresse direttamente io. Ma per me è stato un colpo vedere che i componenti della Commissione, cioè la capogruppo del Pd Lenzi, o l'estensore della legge Gelli sulla responsabilità professionale e sicurezza delle cure, o la memoria storica di tutto il diritto legato alla sanità e al sociale Miotto, non c'erano nell'elenco dei candidati, né nei collegi sicuri, né in quelli non sicuri.
D. Come valuta questa scelta?
R. C'è stato un momento di riflessione che abbiamo condiviso anche con portatori di interesse, con gente impegnata nella sanità, con i referenti dei sindacati proprio per dire: ma come, il Partito Democratico farà leva in campagna elettorale sul lavoro nostro, e non c'è nessuno di noi a difenderlo? In effetti non c'è nessuno di noi che possa applicare o proporre i correttivi che siano in continuità con il pensiero originale che ha mosso questi provvedimenti. Anche questo è interessante perché tutte le leggi sono perfettibili: siamo consapevoli che anche la legge Gelli aveva bisogno o avrà bisogno dopo la stesura dei decreti attuativi (ne mancano ancora 4 mi sembra) di un tempo di applicazione per poter verificare se ci sono dei nodi.
D. Quali i punti di forza e quali le debolezze?
R. Sicuramente ci saranno dei nodi, qualche ostacolo nella omogeneità dell'applicazione, per esempio nel rischio. Qui in Abruzzo è previsto un ruolo per il referente del rischio clinico regionale, ma è un ruolo su carta, non esiste ancora una persona. Poi penso alle aziende: in Abruzzo non sono ancora nella condizione di applicare la legge. La parte nodale non è solo la responsabilità professionale ma la sicurezza delle cure, intesa come un diritto costituzionale. La sicurezza delle cure significa anche il ruolo e il peso che le strutture avranno come responsabilità nell'attuazione della legge Gelli.
D. Quale il prossimo passo adesso?
R. Bisogna fare un lavorone, la conoscenza capillare di quello che c'è in tutte le aziende, della contestualizzazione delle linee guida nei vari ambiti. Le faccio il mio esempio: io sono primario di Radiologia. Se si fa una linea guida sulla diagnostica delle lesioni nodulari del torace, prendendo per riferimento una tipologia di apparecchiatura Tac, io ne ho una inferiore. Ovviamente chi cura il percorso del rischio clinico aziendale deve fare un lavoro di contestualizzazione della linea guida, per renderla realmente attuale e per dare un obiettivo che sia ottemperabile. I decreti attuativi su tutta la parte dell'assicurazione o dell'autoassicurazione sono ancora in stesura: quella è una fase importante perché ci sono regioni molto avanti che hanno già sperimentato. E altre no.
D. La Legge Gelli-Bianco sulla responsabilità medica sana un vulnus o crea un disagio?
R. La legge Balduzzi aveva vari buchi: se fosse stata efficace non ci troveremmo sicuramente di fronte ad un sistema che è quello della medicina difensiva, che costa un danno stimato alle casse dello Stato di circa 10 miliardi di euro. Abbiamo audito tutto il mondo della medicina come società scientifiche (prevalentemente quelle chirurgiche che sono quelle più esposte). Difendendosi non garantiscono una qualità di cura adeguata per i pazienti, per cui questa legge a cui molti politicamente hanno dato una valenza di difesa di categoria, in realtà aveva come obiettivo garantire cure migliori per i pazienti. Anche attraverso questa legge c'è stato l'impulso a comunicare un sistema sanitario che sta cambiando, che sta evolvendo, che dà un ruolo che meritano a figure quali gli infermieri, i tecnici. Figure che adesso compiono dei percorsi di formazione che sono di laurea e di specializzazione post laurea e vanno guardati in maniera diversa e con rispetto.
D. Quali sono tecnicamente i difetti della legge?
R. La responsabilità della struttura e la responsabilità del medico, il fatto di riuscire a spiegare bene che nel momento in cui si vuole adire a una causa penale, l'onere della prova è a carico di chi fa la denuncia. Devo dire che davvero Federico Gelli ha girato l'Italia capillarmente, come il senatore Bianco e la senatrice Silvestri. Molto ha fatto anche il coinvolgimento delle altre figure professionali sanitarie come il mondo degli infermieri che è quello che comunica di più con i pazienti. E poi c'è la parte assicurativa che non è secondaria: ogni medico ha delle spese assicurative importanti, le polizze pesano sui costi.
D. Il Pd si è giocato buona parte del referendum, si dice, anche per via della riforma sulla scuola, con un gap di comunicazione che è costato il posto al Ministro Giannini. Vede affinità con la legge Gelli?
R. Per quanto questa sia una buona legge io non credo che sia una di quelle che solleva le masse, non è una legge che arriva al cuore, è una legge di sistema. Ovviamentte non si vedono ancora gli effetti, il voto si sposta se io vedo effetti migliorativi nell'ambito della sanità. Allo stato attuale noi siamo ancora ai decreti attuativi per cui la differenza in realtà non la vedo neanche io che sono medico ospedaliero, perché ho ancora la mia polizza. Diciamo che in un futuro imminente le cose cambieranno, allo stato attuale nessuno si rende conto perfettamente come è cambiata la situazione. Probabilmente alcune categorie questa cosa se la ricorderanno, ma non credo il popolo.
D. Scaviamo nella crisi del Pd, tra scissioni, sensibilità differenti, veti personali e difetti programmatici: come sta in salute il suo partito?
R. Renzi aveva puntato su un certo rinnovamento anche nei territori, infatti con la riforma referendaria si era davvero vicini alla base, con la spinta che in Parlamento ci andasse gente che avesse l'interesse a superare l'idea del vecchio Stato feudale e adottare una cultura di sistema. Per quanto riguarda questa regione, non ho condiviso il ruolo di accentratore della guida abruzzese del partito. Il logorìo del Pd parte anche dal fatto che si è smarrita la dinamica del tesserato, quando anche altri esponenti di altri partiti hanno potuto esprimersi nelle primarie per il segretario piddì.
D. E il grande lavoro fatto su temi di sinistra come i diritti?
R. Non è stato sufficiente al Pd che magari avrebbe dovuto mostrare il coraggio di una patrimoniale. Mi chiedo: oggi come si pagano le sezioni? La battaglia sul testamento biologico e sulle unioni civili non è bastata a garantire l'unità del Pd. Il problema vero è di visione: quale visione offre oggi la sinistra alla società? I cittadini assistono ad un mondo dove ci sono pochi ricchi contrapposti a molti poveri. E le istanze degli ultimi? Devo dire però che il governo Gentiloni ha messo ben tre miliardi sulla povertà estrema.
D. Quindi cosa manca alla politica e alla sua sinistra?
R. Avere il coraggio di ricostruire uno strappo sulla fiducia, il concetto di bene comune qui come altrove è ancora caro alla gente. Da lì, e solo da lì, la politica dovrebbe avere il coraggio di ripartire.
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