"iPerché" di Impaginato, risponde Aldo Cazzullo: Vi svelo il vortice della rete che ci ruba l'anima


Secondo la firma del Corriere della Sera, il combinato disposto tra intelligenza artificiale e rete sta uccidendo il lavoro intellettuale



Aldo Cazzullo “Metti via quel cellulare. Un papà. Due figli. Una rivoluzione(2017 Mondadori) ha deciso di scriverlo con i suoi figli, Rossana e Francesco Cazzullo Maletto. Per tentare la via del dialogo alla pari, piuttosto che del tomo da intellettuale col sole in tasca: e perché il giornalista del Corriere della Sera, autore di 14 libri (tra Mondadori e Laterza), ama confrontarsi con la quotidianità sociale del paese, oltre che con la sua storia e la sua politica come fatto per esempio in "Possa il mio sangue servire" o "Basta piangere".

E'nato così un frizzante scambio di opinioni, mai banali né dogmatiche, tra due generazioni distanti e distinte. Ma caratterizzate, almeno loro, dalla sincera voglia di parlarsi e ascoltarsi.

D. Cazzullo, vita virtuale e vita reale: perché si sovrappongono e come non confonderle?

R. E'durissima per i ragazzi non confonderle, soprattutto per i veri nativi digitali. I miei figli non lo sono, noi abbiamo giocato ad acchiapparello e a nascondino prima che alla wi o alla play station. Hanno imparato a leggere e a scrivere prima di imparare ad usare l'ipad o l'iphone. I veri nativi digitali sono quelli che stanno imparando a usare l'ipad o l'iphone prima che leggere o scrivere. Quindi penso che vengano rapiti da questo vortice della rete da cui è difficilissimo uscire, perché noi quando eravamo ragazzi avevamo tempo: per annoiarci, per fantasticare, per memorizzare. Oggi hanno wikipedia e per comunicare fra loro usano whatsupp: non hanno il coraggio di alzare lo sguardo dal cellulare, guardarsi negli occhi e parlarsi. Qui nasce il problema di confondere vita reale e vita virtuale.

D. Perché trova pericoloso il fatto che su facebook siano tutti amici?

R. Amici è una parola grossa ed è molto pericolosa in rete perché non credo che la rete sia buona. Al che i miei figli mi rispondono che la rete non è né buona né cattiva, è come noi la rendiamo. Il libro, proprio per questo, non è una predica, ma un dibattito. La loro opinione è importante tanto quanto la mia: all'inizio siamo stati distanti, ma poi sul bullismo on line, sugli Youtubers, sui padroni delle rete o sulla distruzione della cultura...

D. Perché la formula del dibattito con Francesco e Rossana può riuscire a raccontare questa fase sociale meglio di tomi e analisi?

R. Proprio perché il cellulare, come mi dicono i miei figli, a volte diventa un alibi e noi genitori, non riuscendo più a parlare con i figli, gli mettiamo in mano quello strumento: un po'come accadeva con noi da piccoli, quando venivamo messi dinanzi alla televisione. Ma non possiamo limitarci a dire loro “basta cellulare”. Occorre un dialogo per spiegare, magari, come usarlo meno o meglio e confrontarci tra generazioni. E'scattata infatti non solo la crisi della comunicazione, ma la trasmissione della memoria. I ragazzi non sanno nulla di ciò che è successo poco tempo prima, la rete è un'eterna presenza dove il passato non esiste: la seconda guerra mondiale è remota come una guerra punica. Per evitare tutto questo, io vorrei che genitori e figli, nonni e nipoti tornassero a parlarsi. I miei figli mi dicono che la rete può aiutarci a farlo.

D. E lo fate?

R. Vi racconto un aneddoto che nel libro non c'è, perché accaduto qualche giorno fa: le nonne dei miei figli hanno imparato ad utilizzare whatsupp e così i ragazzi hanno creato una chat, chiamata “Nonne alla riscossa” per messaggiarsi in quanto mia madre e mia suocera vivono ad Alba, mentre noi a Roma. Ecco un esempio di come la rete aiuta a parlarsi.

D. Perché è possibile convivere con la tecnologia senza subirla?

R. Ma non è facile, come scrivo nell'ultimo capitolo del libro dedicato al mondo che verrà. Io sono molto preoccupato perché siamo tutti cavie di un esperimento di massa mai tentato nell'umanità. La rivoluzione digitale è stata ancora più devastante rispetto a quella di Gutenberg. Quest'ultimo ha cambiato la storia, perché i libri prima si scrivevano e poi si sono stampati, però erano sempre gli stessi libri: per dire, la Bibbia restava la Bibbia, Dante restava Dante. La rivoluzione digitale sta spazzando via i giornali, il cinema e anche i libri. Un libro sono 400 pagine, ore e ore di tempo, di amore, di riflessione. Sulla rete tutto dura pochi minuti. Un film di solito dura due ore, ma due ore per i nostri figli sono un tempo interminabile, se rapportato ad un filmato su You Tube che dura due minuti o ad una chat che dura due secondi, dove hai appena scritto una cosa di cui ti sei già pentito. I ragazzi dovrebbero rendersi conto che i post che stanno scrivendo, oggi, su facebook tra dieci anni saranno tra le mani del capo del personale che farò loro un colloquio.

D. Perché il mondo che verrà sarà pieno di incertezze?

R. Non solo incertezze, ma anche rischi. Il combinato disposto tra intelligenza artificiale e rete sta uccidendo il lavoro intellettuale, dopo che l'automazione ha distrutto quello operaio. Per cui i miei figli sostengono che domani faranno lavori che oggi ancora non esistono. Rendere umana la rete, quindi, sarà la sfida della nostra generazione. Spero davvero che sia possibile vincerla, perché se pensassimo per un attimo ad un robot o ad un uomo clonato che ha come cervello un pc e come memoria la rete, avremmo certamente un super uomo: ma non resterebbe nulla della libera scelta o delle individualità.

D. Perché la rete omologa?

R. Non solo: non spalanca nuovi mondi ma ci rinserra nel nostro. Su facebook se a me non piace Trump, un momento dopo mi arriverà materiale contro di lui: perché la rete ci dà, alla fine, ciò che ci piace e ciò che vogliamo, e ci dice ciò che vogliamo sentirci dire. All'apparenza è gratis, ma in fondo nulla lo è. C'è sempre un prodotto che viene comprato o venduto: e questo prodotto siamo noi. Questi padroni delle anime e della rete, che pagano malvolentieri le tasse facendo saltare migliaia di posti di lavoro e chiudere migliaia di piccole librerie, all'esterno sono i cosiddetti “buoni” a cui, noi per primi nei giornali, baciamo le mani; mentre durante la rivoluzione industriale i padroni erano i “cattivi”, gli sfruttatori. Ho intervistato in passato Bill Gates: al di là della beneficienza e delle mille iniziative sociali, ho trovato una persona arida, un monopolista che parla solo di denaro. Mi ha molto deluso, non è affatto un Leonardo Da Vinci o un Michelangelo.

D. Perché sarebbe utile, e non demagogico, instillare almeno una goccia di etica nel mare della rete?

R. Abbiamo l'obbligo di farlo. Intanto la Polizia Postale sta facendo davvero un gran lavoro, ma purtroppo sono in pochi per filtrare la massa di insulti che circolano liberamente, assieme a minacce e calunnie. Mi preoccupa il fatto che in rete quasi mai un post esordisce con “non sono d'accordo con te”. Si parte invece con gli insulti diretti, perché tutti sentono la necessità di alzare la voce in questa grande piazza indistinta dove, sotto un brusìo di fondo, c'è il bisogno di farsi ascoltare in qualche modo: senza rendersi conto che, così, si crea una violenza verbale inaccettabile. Lo riscontro persino in alcune lettere che mi giungono al Corriere della Sera: accanto a quelle civili che intervengono con garbo nel merito delle vicende, ce ne sono altre di tenore completamente diverso.

D. Ne “Le donne erediteranno la terra” (Mondadori, 2016) ha sostenuto che le donne sono meglio di noi. Sono quindi maturi i tempi in Italia per un cambio di mentalità? Sarà possibile vedere una donna candidata premier?

R. L'Italia resta un paese maschilista, alle donne è chiesto di più in quanto donne: dalla scuola, alla politica, alle aziende. Ma paradossalmente proprio questo aspetto ha fatto sviluppare alle donne un quid in più. In tutte le scuole sono le migliori, il 70% dei giovani laureati sono di sesso femminile, la maggioranza di giovani medici e magistrati sono donne, ma lo sono solo il 25% dei consiglieri di amministrazione nelle aziende: questo accade per via di una legge che impone alle società quotate di accogliere donne nei Cda. Se le chiamiamo quote rosa, allora le gente le percepisce come odiose: forme di discriminazione positiva credo siano ancora necessarie a questa Italia affinché le donne siano rappresentate in modo adeguato. Ma penso che l'avanzata delle donne negli ultimi anni in Italia sia stata davvero impetuosa, per cui tra non molto le quote rosa non saranno più necessarie. Anzi, ci vorranno le quote azzurre.

 

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