Dalla scuola di Montanelli alla rivoluzione del Fatto Quotidiano. Peter Gomez, classe '63, direttore del fattoquotidiano.it e della rivista mensile, FQ Millenium, è di fatto stato protagonista in Italia di una rivoluzione. Nel 2009 co-fondando il Fatto.it ha in sostanza creato un competitor preciso al duopolio di big come Corriere e Repubblica. E quel lavorìo sotterraneo, fatto di inchieste, approfondimenti e voci mai banali, ha prodotto numeri significativi per il gruppo, anche per la concomitante capacità di interagire con la rete e le migliaia di commenti.
Oggi Gomez, che a Impaginato.it racconta come vede il futuro della stampa locale italiana, si appresta ad una nuova scommessa: da un lato il ritorno al cartaceo, con la rivista mensile FQ Millenium, e dall'altro l'inizio della collaborazione tra Discovery Italia e Loft Produzioni, la nuova piattaforma televisiva della società Editoriale il Fatto con il programma “La Confessione”, in onda l’11 e il 18 ottobre (ore 23,00) sul Canale 9.
D. Ha da poco esordito su Discovery Channel con la prima di una serie di interviste inedite per raccontare il lato oscuro del potere: quale la mission di questa striscia in tv e a quale target è diretta?
R. E'un esperimento che al momento conta su quattro speciali, a cui se ne aggiungeranno altri in seguito e vedremo se sulla stessa piattaforma. L'idea di base è prendere dei personaggi border line e cercare di parlare di loro. Tanto è vero che abbiamo pensato a Emilio Fede, Lele Mora, l'olimpionico Alex Schwazer inciampato nel doping, oltre ad una storia diversa: un attore che è diventato attrice. Insomma, voglio scavare nell'animo umano e individuare cosa spinge le persone a fare delle determinate scelte che a volte sono difficili e altre sbagliate. Intendiamoci, senza voler fare il pubblico ministero in tv, ma solo raccontando cosa muove certe condotte.
D. E' questa la stessa logica legata ad un racconto diverso che vi ha spinto a tentare l'avventura di FQ Millennium?
R. Vogliamo provare a darci tutto il tempo necessario per offrire respiro a storie di cui non ci occupiamo sull'online. Penso davvero che il giornalismo investigativo possa essere adatto a qualsiasi tipo di racconto.
D. Perché l'esigenza di un cartaceo dopo la direzione dell'online del Fatto Quotidiano che ha rivoluzionato il panorama nostrano?
R. Perché penso che, come tutte le cose, ci sarà sempre un pubblico di nicchia (ma poi non tanto, visto che viaggiamo sulle 50mila copie) che ha il piacere di perdere del tempo per informarsi: cosa che non facciamo su internet. Il tipo di informazione che ci arriva di solito non è organica, ovvero leggiamo una cosa qui e una là per sapere cosa è successo. Io invece avvertivo l'esigenza di poter raccontare una storia, o un argomento, dall'inizio alla fine. E poi la carta è sempre bella da prendere in mano: profumata, liscia. Tutta un'altra situazione.
D. Che futuro ha la stampa locale nel nostro paese?
R. E'l'unica che, se fatta bene, può sopravvivere con certezza per una serie di ragioni. Non credo ci siano modelli economici che garantiscano la possibilità di tenere in piedi siti di taglio grande. Alcuni, molto belli, sotto sotto hanno poi una consistente fetta di volontariato. Mentre i media locali, se organizzati come un giornale, hanno una maggiore possibilità di vendere rispetto ai nazionali, perché se si è ben organizzati con un minimo di collaboratori è possibile tirar fuori notizie che i cittadini non conoscono. E l'unico motivo per cui un lettore acquista un giornale o va su un sito è proprio per conoscere ciò che non sa.
D. E come deve intrecciarsi con le nuove visioni legate all'Europa e ai grandi temi che gli editori hanno, tramite le ricadute sui territori?
R. Sono mille e più i ganci. Penso alla crisi del manifatturiero, a quante regioni hanno subito quel danno e sono riuscite a ripartire, o alle conseguenze locali della globalizzazione e degli accordi con Wto sull'agroalimentare, che hanno visto la Cina entrare senza alcun tipo di paletti né sul modello di produzione né sugli stipendi. Da questo punto di vista, secondo me, quando si racconta un taglio locale sulla crisi economica o sul tentativo di un distretto industriale di venirne fuori non si può prescindere da quello che accade in Europa e nel mondo: vale per tutti i temi, penso ad esempio all'immigrazione.
D. Dal locale al nazionale: ha fatto bene Milena Gabanelli ad auto sospendersi dalla Rai?
R. Ci sono proposte che non si possono accettare, soprattutto dopo che sono state fatte precise promesse. A lei era stato detto chiaramente dal Presidente e Direttore Generale che si sarebbe occupata dell'online, con moltissima felicità sua e del pubblico, ma un po'meno della nostra (ride) perché un sito Rai con decine di giornalisti e a guida Gabanelli lo avrei visto come un concorrente fortissimo. Dopo di che, quando vengono cambiate le carte in tavola e ti mandano a dirigere una rete che fa ascolti da prefisso telefonico perché gestita male e non per colpa dei colleghi, e dall'altro lato hai un sito che non esiste, siamo difronte ad un insulto e non ad una proposta. E davanti ad un insulto le persone per bene cosa dicono? “Non ci sto a questo gioco”. E così ha fatto, mettendosi in aspettativa.
D. Allora è possibile in Italia una riforma della tv di Stato o resterà un eterno tabù?
R. La riforma non si può fare perché la tv di Stato ha come editori i partiti. E pensare che rinuncino ad uno strumento di comunicazione e, spesso, di propaganda di quel tipo è assolutamente velleitario. Probabilmente l'unico obiettivo politico raggiungibile, anche se non so da quale governo, è quello di pensare di avere un'unica rete pubblica così da mettere sul mercato tutte le altre. Ma uno scenario del genere, il secondo competitor che è Mediaset, non lo accetterebbe mai: una Rai privata infatti, collocata dove è collocata, con la sua forza e se ben governata finirebbe per annientare gli altri concorrenti. Mentre allo stato attuale delle cose, a Mediaset è concesso di viaggiare su una buona raccolta pubblicitaria annuale perché la Rai ha i tetti. Capito?
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