Giuseppe Tagliente, decano dei consiglieri d'Abruzzo e intellighezia vivace di questa regione, lancia l'allarme: “Si va verso un declino graduale ma fatale, inarrestabile”.
Il gancio è ovviamente rappresentato dalle liste elettorali per le prossime politiche, con interi pezzi di territorio abruzzese rimasti afoni e senza rappresentatività. Una condotta, quella che ha come discutibile timone i paracadutati da altre regioni, che potrebbe essere deleteria nell'economia complessiva delle intenzioni di voto e che si sposa con il momento pessimo della qualità generale della proposta politica.
Tagliente in questa conversazione con Impaginato Quotidiano mette a nudo tutte le criticità dell'attuale scenario, ma non lesina una via di uscita, seppur complessa e niente affatto agevole.
Domanda. Che gliene pare delle liste per le politiche?
Risposta. Risentono tutte del peccato originale di essere figlie di una legge elettorale scriteriata che continua a mortificare l'elettorato, esattamente come la precedente che fu dichiarata incostituzionale.
D. E'stato rispettato il principio della rappresentatività territoriale?
R. Assolutamente no. Si è assistito al solito spettacolo dei paracadutati, una pratica cui non si è sottratta nessuna delle forze politiche, dico nessuna da un capo all'altro degli schieramenti. All'elettorato sono stati così sottratti la libertà di scelta dei candidati e il diritto ad avere una rappresentanza territoriale. La scomparsa dei partiti a livello locale e l'avocazione di ogni decisione ai comitati elettorali romani ha finito col peggiorare la situazione, creando fenomeni largamente diffusi di familismo e cortigianismo al cui confronto impallidisce quello dei nani e ballerine di formichiana memoria. Questo nostro Abruzzo sembra essere condannato a restare ancora senza riferimenti e senza possibilità d'ascolto. Ed il suo destino sembra essere sempre più quello di un declino graduale ma fatale, inarrestabile.
D. In un momento storico caratterizzato da slogan legati al populismo e rabbia dell'antipolitica, chi vince e chi perde da liste con paracadutati e nomi estranei al territorio?
R. Perde l'Abruzzo. Indiscutibilmente. E quando dico Abruzzo intendo i giovani abruzzesi che rimangono estranei a questi giochi di palazzo e si sentono abbandonati; intendo gli imprenditori abruzzesi che non sanno con chi relazionarsi; intendo gli enti locali e le istituzioni di questa regione che non sanno più a quale santo votarsi, completamente abbandonati a se stessi. Non è un caso se quella che era considerata la prima delle regioni meridionali quanto a velocità di sviluppo e che venne esclusa dall'obiettivo uno per l'aumento del livello del PIL oggi ristagna, annaspa sotto il profilo economico e non riesce a sfruttare le sue risorse e le sue grandi potenzialità. L'Abruzzo avrebbe bisogno, oggi più che mai, d'una classe dirigente capace di esprimere una visione, un concetto, un progetto di sviluppo disancorato dai vecchi, logori schemi del Novecento e proiettato tutto negli anni 2000.
D. C'è il rischio di un'ulteriore disaffezione dei cittadini alla vita politica?
R. Eccome se c'è. I segnali su un possibile aumento dell'astensione ci sono tutti. Su scala nazionale nelle recenti amministrative ha votato poco più del 60% e nelle elezioni siciliane ha votato meno del 47% dell'elettorato. Ad Ostia ha votato meno del 40%. All'Aquila, per dare uno sguardo in casa nostra, ha votato al primo turno il 67,77 rispetto al 77,38% della volta precedente e al ballottaggio il 52,08. Sono dati che confermano che qui, come altrove, la gente non prova più interesse nè curiosità nei confronti della politica. Sono convinto sulla base di questi dati, ma spero di sbagliarmi, che la disaffezione si manifesterà purtroppo in misura ancora crescente il 4 di marzo.
D. Come ovviare idealmente ad una proposta politica che si riempie di logiche per lo più incomprensibili a lavoratori e professioni?
R. Questa nostra democrazia s'è perso il popolo per strada ed è diventata, alla fine di un processo cominciato tanti anni fa, ormai solo una crazia, un potere autoreferenziale con linguaggi e rituali che non interessano più nessuno, anzi che non vengono addirittura compresi dai cittadini. Al cospetto di un mondo che cambia velocemente, che prospetta nuovi scenari, che parla nuovi linguaggi, che declina nuovi paradigmi, la politica, anche quella abruzzese, recita purtroppo la parte del cane che abbaia alla luna.
D. Quale la strada da percorrere?
R. Se non riuscirà a raccordarsi, nel senso letterale di "rientrare nel cuore della gente", per interpretare i sogni e i bisogni sarà sempre peggio. A meno che non si corra ai ripari lavorando alla costruzione di una classe dirigente da individuare e selezionare per adesione ad un progetto culturale, prima ancora che politico, che metta al centro le popolazioni ed il territorio. La strada è questa, non ne vedo altre, e mi piace pensare che lungo questa direzione possano ritrovarsi a breve quanti hanno a cuore gli interessi collettivi e la dignità degli abruzzesi.
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