In attesa del collasso. Dopo il 4 marzo, secondo l'avvocato Giuseppe Benedetto, Presidente della Fondazione Einaudi e, tra le altre cose, già consigliere regionale e assessore alla Promozione Culturale della Regione Abruzzo per il Partito Liberale Italiano, oltre che essere stato vice segretario nazionale della Gioventù Liberale Italiana, potrebbe aprirsi una nuova era per l'Italia. Un'era fecondata da quella parola magica che risponde al nome di politica, “ma con la P maiuscola”.
Tra i suoi maestri Benedetto annovera con orgoglio Giovanni Malagodi e il costituzionalista Aldo Bozzi. Due giganti, al pari di Federico Caffè e Sergio Ricossa, “in cima” ai pensieri della Fondazione e dei giovani che la frequentano.
Ma è il parallelo con il ventennio che sta per chiudersi a solleticare un ragionamento che, partendo dalla contingenza di partiti e leaders rissosi e affetti dalla sindrome da stadio, conduce alla madre di tutti i problemi: la selezione della classe dirigente.
D. Perché queste elezioni assomigliano ai giorni di marzo 1992?
R. Il 4 marzo 2018 non è l'inizio di una nuova era, né l'inizio della Terza Repubblica, per capirci, ma la fine della cosiddetta Seconda Repubblica. In questo senso corrisponde alle elezioni politiche del 1992 e non a quelle successive del 1994, quando erano già in campo le forze politiche che hanno caratterizzato il ventennio successivo. Non molti ricordano che nel 1992 c'erano tutti i cosiddetti vecchi partiti, dalla Dc al Psi: quasi tutti raggiunsero risultati positivi, qualcuno particolarmente positivi. Ma dopo pochi mesi sigle e contenitori sparirono.
D. Con che impatto sugli scenari futuri?
R. Quell'anno segnò la pietra tombale su un mondo. Questo 2018 lo sarà per la seconda repubblica. Ci avvieremo verso una fase nuova e diversa in cui ci saranno, molto probabilmente, altri protagonisti della vita politica.
D. La responsabilità è dell'accesso attuale alla politica, altro rispetto alla prima repubblica?
R. Vi sono molte responsabilità, non una in particolare: ma si è chiuso un ciclo durato 25 anni e che giornalisticamente possiamo sintetizzare con il ciclo del berlusconismo. In realtà le forze politiche si sono connotate per essere filo berlusconiane e anti berlusconiane: non è questa la nostra visione della politica, ma così è stato. Si è chiuso un po' per via di un dato anagrafico, è trascorso un quarto di secolo, e un po'perché non vi sono stati successori politici, né tra i berlusconiani né tra gli anti berlusconiani. Infine credo sia forte in Italia la necessità di tornare alla politica e non alle curve delle tifoserie contrapposte, come accaduto in questo ventennio. Un modo tutto italiano di aver vissuto politica che non ha eguali nel resto d'Europa. In questo senso credo che l'Italia debba far parte dell'Ue.
D. Federico Caffè e Sergio Ricossa: quanto le loro ricette potrebbero stimolare oggi la politica che promette ma non pianifica?
R. Stiamo parlando di due giganti del pensiero, uno dei quali venuto a mancare di recente. La parola magica è “politica”, quella con la P maiuscola di cui i due sono stati assoluti protagonisti in quanto pensatori di politica. Oggi invece non abbiamo quella politica. Porto l'esempio di ciò che accade in Germania proprio in queste ore: c'è una macerazione all'interno della Spd, una feroce discussione che manifesta una crisi sull'opportunità o meno della grosse koalition. E dopo un ampio confronto che Martin Schultz ha avuto con il partito e la sua base.
D. Replicabile a casa nostra?
R. Se io dovessi parlare in Italia di base di partito lei sarebbe autorizzato a farsi una risata, visto e considerato cosa sono oggi i partiti nel nostro Paese e quali sono i meccanismi di selezione della classe dirigente.
D. Il ruolo della Fondazione Einaudi può essere quello di serbatoio di idee e nuova linfa per una stagione tutta da scrivere?
R. Da 56 anni la Fondazione Einaudi è pensatoio politico per il mondo culturale di stampo liberal-democratico. Poi la trasmissione, dalle idee che si possono produrre e anche diffondere, alla loro rappresentanza istituzionale ad esempio nelle assemblee elettive, è un salto difficile e complesso. E non può essere certamente compito solo della fondazione Einaudi. Credo che fin quando reggerà questa seconda repubblica lo spazio per i liberali non ci sarà. Invece in caso di suo rapido collasso, con queste elezioni del 4 marzo, allora il 2018 che abbiamo paragonato al 1992 potrà vedere nuovi spazi aprirsi: spazi per la politica.
Leggi anche:
iPerché di Impaginato Quotidiano: Peter Gomez
iPerché di Impaginato Quotidiano: Nicola Porro
iPerché di Impaginato Quotidiano: Benedetto Della Vedova
iPerché di Impaginato Quotidiano: Aldo Cazzullo
iPerché di Impaginato Quotidiano: Mario Mauro
iPerché di Impaginato Quotidiano: Suor Anna Monia Alfieri
iPerché di Impaginato Quotidiano: Daniele Capezzone
iPerché di Impaginato Quotidiano: Luca Telese
iPerché di Impaginato Quotidiano: Lorenzo Dellai
iPerché di Impaginato Quotidiano: Angelo Polimeno
iPerchè di Impaginato Quotidiano: Geatano Quagliariello
iPerché di Impaginato Quotidiano: Edoardo Sylos Labini
iPerché di Impaginato Quotidiano: Gianfranco Pasquino
iPerché di Impaginato Quotidiano: Flavio Tosi
iPerché di Impaginato Quotidiano: Andrea Margelletti
IPerché di Impaginato Quotidiano: Giovanni Guzzetta
iPerché di Impaginato Quotidiano: Gianluca Zelli
iPerché di Impaginato Quotidiano: Lara Comi
iPerché di Impaginato Quotidiano: Paolo Franchi
iPerché di Impaginato Quotidiano: Roberto Menia
iPerchè di Impaginato Quotidiano: Giuseppe Tagliente
iPerché di Impaginato Quotidiano: Maria Amato
iPerché di Impaginato: Massimo Cialente
twitter@ImpaginatoTw