Gli alfaniani sullo ius soli sbagliano quando osservano che “è una buona legge ma nel momento sbagliato”. Lorenzo Dellai, ex presidente della Provincia di Trento e attuale presidente del Gruppo Parlamentare Democrazia Solidale-Centro Democratico alla Camera mette al primo posto la sua idea di inclusione sociale (e politica).
Walter Veltroni sullo ius soli invita cattolici e grillini a non tirarsi indietro: ha ragione?
Apprezzo la sua posizione. Credo che, rispetto al mondo cattolico e anche ai cattolici impegnati in politica, sia un invito che cade in un terreno già molto fertile. Sono loro ad aver promosso e sostenuto convintamente questa legge. Veltroni ha rivolto un invito che trova già una larga parte dei cattolici mobilitata.
Non è allora una questione di calendario d'aula?
Non lo penso. Il punto vero è che questa legge ha una valenza di tipo culturale estremamente importante. Attraversiamo una fase in cui, ogni giorno, c'è una grancassa di cattivi maestri che predicano paure e intolleranza, dipingendo un Paese oggetto di invasione da parte degli stranieri. In un siffatto periodo, occorre che la politica dia segnali inequivocabili e, direi, anche coraggiosi, facendo prevalere una visione più razionale. La legge sullo ius soli va proprio in questa direzione.
Come si inserisce il richiamo ai cattolici giunto dal Papa e dalla Cei?
A dare coerenza alle intenzioni. Penso inoltre che si sbagliato dire che la legge in questione “è una buona legge ma nel momento sbagliato”. Mi spiace molto per gli amici di Alternativa Popolare, ma non sono affatto d'accordo su questa impostazione. Credo sia invece questo il momento giusto perché una politica coraggiosa aiuti l'opinione pubblica a superare la comprensibile incertezza e l'inquietudine delle ultime settimane, recuperando i valori di fondo della nostra comunità.
Il Ministro Minniti, intanto, punta a chiudere i centri di accoglienza: perché i due elementi andrebbero tenuti slegati?
Fanno parte di un processo di maturazione del nostro Paese, che progressivamente cerca di elaborare un punto di vista organico rispetto al tema degli stranieri. Sono però fatti separati, perché sappiamo bene che lo ius soli non c'entra nulla con gli sbarchi dei disperati nel Mediterraneo e riguarda quei ragazzi che hanno un rapporto, stabile e consolidato, con il nostro Paese; che sono qui da tanto tempo e che vi rimarranno. E', niente altro, se non il riconoscimento giuridico di un rapporto di diritti e doveri verso l'Italia da parte i coloro che fanno già parte organica della nostra comunità. L'emergenza-sbarchi riguarda altre persone che giungono qui non sapendo dove andare.
Quindi da dove partire?
Ciò che è certo, è che serve una visione organica, razionale e armonica nei confronti degli stranieri: per cui è più che giusto cercare di dare una sistematica visione dell'emergenza, superando l'esperienza dei campi di raccolta, che poi producono quegli effetti gestionali noti. In questa logica fa bene il governo a rafforzare la collaborazione in chiave europea, stabilizzando la situazione nei paesi di partenza, in primis la Libia, ma coinvolgendo le agenzie dell'Onu. Bene inoltre che in questo mix organico, nel frattempo, si dia un segnale di piena integrazione e pieno riconoscimento di diritti/doveri a chi è dentro la nostra comunità. I tasselli, anche se non del tutto compiuti, ci sono per un possibile mosaico che rappresenti l'idea di un Paese non chiuso aprioristicamente rispetto a questi fenomeni strutturali.
Con una chiave anche socialmente “interna”?
La legge sullo ius soli più che sotto la voce “stranieri” andrebbe collocata sotto quella “politiche e favore della crisi demografica”. Personalmente la vedo così: si riferisce alla piena valorizzazione di bambini e ragazzi di origine straniera che stabilmente sono in Italia ed è uno dei due pilastri di una politica che vuole superare la grande crisi demografica, senza dimenticare che l'Italia è il secondo paese al mondo per invecchiamento della popolazione.
Due lustri dopo il Lingotto, tra Pisapia e Speranza chi incarna quello spirito veltroniano?
Ha ragione Arturo Parisi quando osserva che la stagione dell'Ulivo era connaturata ad un panorama iper maggioritario, con una visione bipartitica della democrazia politica italiana: visione che oggi non c'è più. E'anche patetico all'interno del centrosinistra vedere che ogni informazione rivendica una sorta di eredità ulivista: come se ciascuno potesse metter su per conto suo un'organizzazione politica appuntandosi sul petto la coccarda del nuovo Ulivo. L'Ulivo è stata una stagione irripetibile.
L'Italia non è fatta per avere un'architettura bipolare?
Evidentemente no. Siamo in una fase di grande incertezza nella quale convivono macro spinte proporzionaliste, con micro spinte maggioritarie. Per cui occorre tornare ad una logica di coalizione, nella quale nessuno rivendichi di essere l'esclusivo erede delle stagioni passate ma tutte le parti in causa si impegnino per portare la propria cultura politica. In questo senso il dibattito, non solo a sinistra ma anche al centro, è molto confuso. E, per quanto mi riguarda, penso che in chiave di coalizione sarebbe auspicabile un ruolo più marcato del cattolicesimo democratico e del popolarismo di ispirazione cristiana che storicamente hanno sempre fatto parte della cultura italiana. Ma che oggi appaiono un po'troppo dispersi.
Leggi anche:
iPerché di Impaginato Quotidiano: Peter Gomez
iPerché di Impaginato Quotidiano: Nicola Porro
iPerché di Impaginato Quotidiano: Benedetto Della Vedova
iPerché di Impaginato Quotidiano: Aldo Cazzullo
iPerché di Impaginato Quotidiano: Mario Mauro
iPerché di ImpaginatoQuotidiano: Suor Anna Monia Alfieri
iPerché di ImpaginatoQuotidiano: Daniele Capezzone
iPerché di ImpaginatoQuotidiano: Luca Telese
twitter@ImpaginatoTw