Come sta in salute la scuola italiana? Perché le cattedre non vanno intese come degli ammortizzatori sociali? Perché è utile immaginare due albi e soprattutto l’obiettivo di costi standard anche nel campo dell’istruzione? Domande a cui Suor Anna Monia Alfieri ha tentato di dare una risposta analitica nel volume “Il diritto di apprendere” (Giappichelli), scritto a sei mani con il docente di economia Mario Grumo e la commercialista Maria Chiara Parola.
Si tratta di una voce molto autorevole nel panorama scolastico italiano: Suor Anna Monia Alfieri infatti è presidente della Fidae Lombardia, cura un seguitissimo blog con un approccio laico nel pensiero scientifico. Dal 2007 è legale rappresentante dell’ente Casa Religiosa Istituto di Cultura e di Lingue Marcelline, collabora con la Divisione Enti non Profit di Altis (Alta Scuola Impresa e Società) dell’Università del Sacro Cuore di Milano, per l’organizzazione dei corsi di Alta Formazione (in management e alta dirigenza scolastica) per gli Istituti Religiosi e per la docenza negli stessi. Dal 2011 è responsabile dell'ufficio regionale Scuola e Cultura Usmi Lombardia.
Ha incarichi di esperta presso i Tavoli sulle scuole paritarie del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. È autrice di numerose pubblicazioni, articoli ed elaborati sul Sistema Nazionale di Istruzione, in particolare sul suo compimento secondo la legge 62/2000, nella definizione della scuola pubblica, paritaria e statale. È ispiratrice e coautrice del saggio “La buona Scuola Pubblica per tutti Statale e Paritaria”, Laterza 2010.
Perché i costi standard nella scuola non sono sinonimi di beneficenza?
Anzitutto cerco di fare chiarezza sui termini. Il costo standard è la quota che lo Stato dovrebbe investire nelle proprie scuole per la formazione di ciascun allievo. Dico “dovrebbe” perchè si configura come un “dovere dello Stato nei riguardi dei propri cittadini” (art 3 della Costituzione) in nome del diritto di ogni persona all’educazione e all’istruzione. Al diritto del cittadino corrisponde il “dovere” dello Stato. Come dire che non si tratta di una “discrezionalità - beneficienza che può essere concessa o meno” dall’amministrazione.
Come ripartirlo?
Il costo standard deve essere assegnato alle scuole pubbliche (statali o paritarie) come “istituzioni che svolgono la funzione formativa nei riguardi degli allievi, titolari del diritto umano universale di essere educati”. Per le scuole il finanziamento si configura come un “interesse legittimo” per il servizio che rendono alle persone. Interesse legittimo che può essere riconosciuto o meno dallo Stato in modo discrezionale. All’allievo non può essere negato il diritto all’educazione nell’ambito del Servizio Nazionale di istruzione! Di conseguenza lo stato deve mettere in atto questo investimento, gli piaccia o no. E’ suo dovere. Non si discute.
Come dovrebbe amministrare lo Stato quei denari?
Occorre tener presente che le risorse economiche, a loro volta, non appartengono allo Stato, ma lo Stato amministra quanto i cittadini gli affidano con le tasse, da amministrare a beneficio degli stessi cittadini. Quindi lo Stato non deve amministrare in base a scelte arbitrarie, ma secondo il diritto. E’ evidente che questa è una impostazione personalista del diritto, che mette al centro la singola persona umana, con i suoi diritti inalienabili, che lo Stato è tenuto semplicemente a riconoscere. Non è lui che decide quali sono i diritti. Ma finché in Italia permane la concezione di uno Stato “educatore dei cittadini italiani”, si continua a concepire la scuola come “instrumentum regni” e non come servizio alle persone, come appunto recita l’art. 3 della Costituzione. In questa concezione il costo standard resta un espediente contabile per l’utilizzo efficiente delle risorse, e non come una beneficenza alla persona di essere promossa nei suoi diritti inviolabili.
Oggi lo Stato italiano non può erogare finanziamenti aggiuntivi per le scuole paritarie, perché il Welfare fa sempre più fatica a sostenere la spesa sociale. Lei dichiara che è necessario invece spendere meglio e di meno. Come?
La via maestra per assicurare una effettiva autonomia delle istituzioni scolastiche e una reale parità scolastica passa dalla riorganizzazione del finanziamento dell’intero sistema nazionale di istruzione attraverso la definizione del costo standard di sostenibilità per allievo. Lo dimostra scientificamente dati alla mano il saggio "Il diritto di apprendere. Nuove linee di investimento per un sistema integrato", ed. Giappichelli, 2015, di Alfieri, Grumo, Parola, con la prefazione dell’on.le Stefania Giannini. In pratica, dotando ogni alunno di un cachet da spendere nell’istituto che intende scegliere, si realizzerebbe finalmente il pluralismo educativo dando così alle famiglie la possibilità di decidere fra una buona scuola pubblica statale e una buona scuola pubblica paritaria; lo Stato risparmierebbe fino a 17 miliardi (!) di Euro sull’attuale spesa scolastica; si attiverebbe infine una sana concorrenza tra le scuole pubbliche, statali e paritarie, mirata al miglioramento dell’offerta formativa.
Fino ad oggi invece?
L’alternativa dei finanziamenti a pioggia per fantomatici progetti rappresenta il tracollo economico anzitutto della scuola pubblica statale, oltre alla impossibilità di garantire il pluralismo educativo, offerto dalla pubblica paritaria. Definire il costo standard di sostenibilità per allievo significa individuare il costo ottimale per l’istruzione di ogni alunno (diverso dal costo medio, che è dato dal costo complessivo diviso il numero di alunni). Il costo standard è soggetto ad una pluralità di variabili: grado scolastico, indirizzo della scuola, situazione di handicap, collocazione geografica della scuola, ambiente sociale. Ugualmente vanno tenuti in considerazione altri aspetti che rendono la realtà diversificata, quali i contratti, la gestione degli immobili dove sono ubicate le scuole, la necessità di particolari presenze professionali, come psicologi, mediatori culturali, operatori sanitari. Sarà ovviamente differenziato il costo standard del liceo scientifico del quartiere Scampìa di Napoli rispetto a quello del centro di Milano. Soltanto su questo fondamento si potrà impiantare per tutti gli studenti delle scuole pubbliche qualsiasi strumento importante come la Convenzione che disciplina i rapporti economici tra il Miur e le istituzioni scolastiche paritarie, il Voucher per lo Studente, la detraibilità fiscale delle spese scolastiche, varie misure di diritto allo studio: buono scuola, assistenza disabili, refezione, trasporto.
Quale il vantaggio del cachet?
Dotando ogni alunno di un cachet da spendere nell’istituto che intende scegliere, si realizzerebbe finalmente il pluralismo educativo dando così alla famiglia la possibilità di scegliere la buona scuola pubblica – statale o paritaria – che desidera; lo Stato risparmierebbe fino a 17 miliardi (!) di Euro sull’attuale spesa scolastica, si eviterebbero gli sprechi, si dedicherebbero risorse necessarie alle scuole, anche piccole e isolate, attualmente in grave difficoltà. E’ la grande speranza per il 2017. Uomini e donne di scuola e dello Stato, professionisti di altissimo livello culturale tra gli “addetti ai lavori”, lo hanno capito perfettamente, essendo anche liberi da ogni deformazione mentale di tipo ideologico. L’alternativa al costo standard di sostenibilità è il tracollo della scuola pubblica italiana, statale e paritaria. Tertium non datur.
Conti alla mano, se lo Stato Italiano applicasse il costo standard di sostenibilità per tutti gli 8.826.893 studenti cosa muterebbe?
Beh, sul totale degli studenti che oggi frequentano la scuola statale e paritaria e con la compartecipazione delle famiglie secondo ISEE, come d’altro canto avviene già per molte spese a carico della famiglia nella scuola pubblica statale, (si veda la sanità) la Spesa Pubblica Totale si assesterebbe intorno a € 38.347.989.316,26 ben al di sotto della Spesa che oggi sostiene pari a € 55.169.000.000,00. L’applicazione del costo standard di sostenibilità sarebbe non solo economicamente sostenibile, ma anche garanzia certa di un risparmio per le casse pubbliche, persino nell’ipotesi che lo Stato Italiano decidesse di spendere per l’istruzione di tutti gli studenti il costo standard per studente pieno (€ 4.573,91 infanzia - € 4.851,19 primaria - € 6.968,90 second 1° - € 6.314,00 second 2°) escludendo qualsiasi compartecipazione delle famiglie. Infatti la spesa complessiva per tutti gli 8.826.893 studenti italiani si assesterebbe attorno ai 50.457.880.679,29 ancora inferiore alla spesa che oggi sostiene pari a € 55.169.000.000,00.
Perché scuole e cattedre oggi sono ammortizzatori sociali?
Perché è evidente che “cattedre e scuole” non sono definite in base a criteri di efficienza e di efficacia per la promozione dei diritti, per i bisogni degli allievi, ma vengono gestite con riferimento a “diritti – interessi – privilegi” dei docenti. Basta esaminare i criteri di assunzione (si assumono insegnanti di lettere in più quando mancano quelli di matematica), quelli di gestione con orari e calendari di due secoli fa inadeguati alla società attuale, i criteri (se ci sono…) di trasferimento annuale che sconvolgono ogni possibilità di effettiva programmazione, verifica, responsabilità nei riguardi dei risultati raggiunti dagli allievi.
Perché nel suo libro teorizza la libertà di scelta educativa?
La libertà di scelta educativa non è una tesi o un’idea campata per aria, ma è un diritto sancito dalla Costituzione (art. 30) e dal Diritto Internazionale; e viene garantita effettivamente nelle scuole italiane attraverso: a) la scelta della religione (1985); b) la legge dell’autonomia scolastica (art 21 della legge 59 del 1997) fondata sull’incontro tra libertà educativa delle famiglie, di insegnamento dei docenti, di apprendimento degli studenti; c) il Piano Triennale dell’Offerta Formativa definito da tutte le componenti scolastiche, d) il Patto educativo di corresponsabilità, dove si riconosce al genitore il “dovere in educando” e al docente il “dovere in vigilando”.
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