Pechino chiama Ue, ovvero la connettività regionale come anticamera allo sviluppo


Cina-Europa: il premier Li spinge per intensificare la logistica. L'auspicio è che anche in Italia non ci si addormenti


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
29/11/2017 alle ore 22:27

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La Via della Seta è ormai nella fase attuativa. Ma c'è il rischio che se da un lato Pechino “chiama” i Paesi del Mediterraneo per accelerare sul fronte infrastrutture, dall'altro nel vecchio continente si ritardino politiche e decisioni per colpa delle urne?

Il premier Li spinge per intensificare la logistica. Sul piatto containers e tanti affari, come dimostrano le prime proiezioni del cambio di rotta cinese: da Rotterdam al Pireo, con un risparmio secco di una settimana. Li, incontrando il suo omologo serbo, ha chiesto espressamente di accelerare la costruzione della linea terra-mare sulla direttrice Cina-Europa.

Proprio nelle stesse ore veniva inaugurata la nuova ferrovia tra Ungheria e Serbia, uno snodo interessante e non solo nell'economia complessiva della dorsale balcanica, ma anche perché ha in grembo una serie di riverberi legati alla geopolitica.

Cosa c'entra la Cina con i Balcani? Tantissimo. La prima sezione della nuova ferrovia ungherese significa, in pratica, che l'est ha avviato quel progresso logistico che inietti nuovo slancio nella costruzione della linea tra i due continenti. Ovvero, la connettività regionale come anticamera allo sviluppo dei Paesi.

La nuova ferrovia di 350 chilometri collegherà Budapest a Belgrado, con 184 km in Serbia e il resto in Ungheria. Un gruppo di imprese cinesi, guidati da China Railway, costruirà la linea che come primo impatto ridurrà il tempo di viaggio da otto a tre ore. Una rivoluzione a quelle latitudini.

L'Ungheria infatti, e non a caso, ha annunciato la gara per la propria sezione della ferrovia durante la sesta riunione dei capi di governo dei paesi europei orientali e della Cina-centrale. C'è quindi, proprio difronte alle coste adriatiche, un sommovimento di interessi, logistica e direttrici di sviluppo che si intersecano con Pechino. Ma al di qua di quella linea, invece, potrebbe esserci una sorta di resistenza coatta rappresentata dalle urne.

Quelle tedesche, per nulla risolutrici, hanno condotto all'impasse proprio i campioni della stabilità. E anche se la Faz in questi giorni si affanna a picchiare duro contro la Cancelliera Merkel (dopo averla difesa anche nei momenti in cui era indifendibile), emerge il macrodato che nessuno in Ue è invincibile. Anzi, proprio Berlino sta mostrando inimmaginabili crepe.

Della Spagna si sa tutto all'indomani del caso catalano, mentre sui disastri fatti a Dowming Street da Teresa May ormai sta nascendo una vasta pubblicistica. Ecco che le urne tornano, prepotentemente, in Italia dove di fatto bloccano come una tediosa e infinita partita a scacchi ogni mossa legata al futuro.

Cosa emerge all'orizzonte? C'è un fastidioso e pericoloso presentismo in Europa (in Italia in primis) che non consente una programmazione seria e lungimirante di azioni e politiche, per limiti culturali o per contingenza politica. Le urne come freno a mano al futuro?

Magari non proprio in questi termini, ma se anziché polemizzare ogni giorno su biotestamento, migranti o cerone del Cav anche a casa nostra si lavorasse pancia a terra sui dossier che contano davvero, allora forse saremmo anche noi di quella partita (come i Balcani). Almeno stavolta.

 

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