Caro Juncker, il problema dell'Ue non è l'ora solare


L'annuncio della Commissione è la plastica raffigurazione di chi pensa a questioni secondarie, dimenticando il nocciolo


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
31/08/2018 alle ore 16:23

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E'come se gareggiassero un treno ad alta velocità e un asinello: non è questione di voler vincere facile, ma di realpolitik contro una scatola vuota.

Al netto di chi ama dormire di più o di chi guarda al sole come all'ombelico della propria giornata, c'è un fatto che lascia sbigottiti cittadini e imprese desiderosi di progetti e strategie, non di slogan.

La Commissione europea proporrà la fine del cambio da ora legale a solare, dopo una mega-consultazione che ha ricevuto 4,6 milioni di voti dai cittadini. E il presidente Juncker annuncia: "L'ora estiva sarà la regola".

Ovvero nel momento più complicato dell'Ue, proprio quando si infiamma il dibattito tra sovranisti e filo europei, tra chi propone un'altra via e chi invece preferisce l'euro status quo, la maggiore istituzione comunitaria replica con una decisione sull'ora solare e legale. Prestando ulteriormente il fianco ad una considerazione, tanto scomoda quanto legittima: possibile che non vi siano altre emergenze da affrontare? Era proprio il caso di offrire un'icona di vacuità in un frangente in cui mille sirene stanno suonando contemporaneamente?

La Cina marcia spedita con la sua Via della Seta, che vuol dire nuovi vettori commerciali per i propri prodotti (porti, aeroporti, autostrade, ponti) ma anche problemi in prospettiva per le questioni relative alla concorrenza ed alla penetrazione massiccia nel vecchio continente, già alle prese con l'accordo Ceta col Canada e quello Mercosur con i paesi del Latinoamerica che potrebbe far arrivare tonnellate di carne a basso costo (e bassa qualità) in Europa.

La logistica del mare nostrum e le tabelle commerciali dell'Ue non saranno più le stesse.

Il dossier idrocarburi si arricchisce di nuovi capitoli, con gli americani di Apache che raddoppiano gli investimenti in Egitto in quel fazzoletto di acque dove per fortuna l'Eni tiene alto il tricolore scoprendo un altro mega giacimento, il Noor, dopo il Zohr che ci ha resi di nuovo protagonisti. Sullo sfondo la crisi siriana ancora irrisolta, con la più grande esercitazione navale russa messa in piedi dalla fine della guerra fredda ad oggi nel Mediterraneo orientale, dove altre due mine sono attualmente vaganti e pronte a detonare: Turchia e Libia.

Ankara naviga nei debiti esteri in dollari ed euro, e la sua valuta sta perdendo costantemente valore anche per via di politiche folli legate a spese esasperate dall'ideologia neo ottomana del suo presidente-sultano, indaffarato adesso anche a costruirsi una centrale nucleare da 17 miliardi, mentre le aziende nazionali come Tusk Telekom falliscono e licenziano centinaia di dipendenti.

La possibile destabilizzazione istituzionale turca è un'opzione ben presente sui tavoli delle cancellerie e delle istituzioni finanziarie globali che osservano con preoccupazione cosa accade sul Bosforo, così come di quelle banche italiane che hanno investito in Turchia.

Più a occidente, se sembrava fermata la balcanizzazione delle tribù libiche con l'annuncio di elezioni a dicembre, ecco che il nuovo piglio di Macron nel volr decidere tutto in prima persona non ha sortito gli effetti desiderati. E in Libia si torna a sparare e a mettere in forse la stabilizzazione istituzionale che è imprescindibile per le nostre imprese e per la gestione del dossier migranti.

Sono solo alcune delle questioni che riguardano il Mar Mediterraneo e i Paesi che vi sia affacciano. E la commissione Ue pensa a sole e lancette. Bontà loro, ma nervi nostri.

 

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