Non solo gas, ma pretese territoriali: ecco il nuovo asse fra Turchia e Azerbaijan


Al di là dei gasdotti, degli affari e della geopolitica i due capi sempre più gemelli: chiedono pezzi di terra a Grecia e Armenia. E l'Ue?


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
16/03/2018 alle ore 09:13

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Le partnership sono cosa buona e giusta, perché è la squadra che vince in ottica di alleanze e chi gioca da solo rischia di sparire dalla scena. Un assunto su cui pochi avanzano dubbi, ma c'è un parallelo nel nuovo quadrante della geopolitica 2.0 che si presenta variegato nelle ambizioni ma monolitico nei mezzi: è il nuovo asse turco-azero, dove i due leader assumono strategie comuni, fatte anche di pretese territoriali.

Complice il silenzio europeo, imbrigliato da un lato nello scacchiere legato ai nuovi gasdotti e dall'altro da una classe dirigente approssimativa, così come dimostra la performance di lady Pesc, i due capi appaiono sempre più gemelli: chiedono pezzi di terra a Grecia e Armenia. E l'Ue nicchia.

Il presidente azero Aliyev durante il congresso del suo partito (Nuovo Partito Azerbaigiano) l'8 febbraio scorso ha “copiato” il collega Erdogan. Alla stessa maniera in cui quest'ultimo continua ad avanzare pretese sui fondali marini ciprioti dove c'è il gas e sulle isole greche dell'Egeo orientale senza che alcuna legge glielo consenta, Aliyev oltre a reclamare territori armeni come storicamente azeri, auspica la creazione di "opere scientifiche basilari".

Insomma vuole una storia tutta sua, così come Erdogan sta riscrivendo quella turca dopo il genocidio armeno, quello dei ponti, quello dei ciprioti e quello dei curdi.

L’8 febbraio scorso nel suo discorso durante il 6° congresso del partito Yeni Azerbaijan, il Presidente dell’Azerbaijan ha fatto delle dichiarazioni anti-armene, avanzando rivendicazioni territoriali precise. “Il khanato (territorio soggetto alla giurisdizione di un khan) di Jerevan, Zangezur, Geycha – ha detto - sono i nostri territori storici. Le giovani generazioni e tutto il mondo devono saperlo. Sono contento che in relazione a ciò vengano create opere scientifiche basilari, girati film, organizzate mostre. Nei prossimi anni noi dovremo essere più attivi in questa direzione, mostre e presentazioni dovranno essere realizzate in diverse parti del mondo. Dal momento che Jerevan è la nostra terra storica, noi azerbaijani dobbiamo ritornare in quei territori storici. Questo è il nostro obiettivo strategico e politico a cui ci dobbiamo gradualmente avvicinare.”

Il suo gemello Erdogan ha detto, proprio nelle utime settimane quando il caso della nave Saipem è detonato in tutta la sua gravità, che “nel 1923 la Turchia ha svenduto le isole greche che erano nostre e a distanza di tiro dell’artiglieria”.

In quelle isole “ci sono ancora le nostre moschee, nostri santuari”. Chiede ogni due per tre la revisione del Trattato di Losanna, l’accordo che ha stabilito nel 1923 le frontiere della Turchia moderna. “Non è un testo sacro, lotteremo per averne uno migliore”.

Un panorama che ha come minimo comun denominatore il disinteresse dell'Ue a risolvere questioni aperte e scivolose, come appunto l'invasione turca di Cipro che oggi produce i frutti avvelenati delle rivendicazioni sul gas. E dimostra, una volta ancora, che la politica estera non può essere affrontata con un piglio disordinato e svogliato che produce lassismo e apatiche soluzioni, ma necessita di visioni e strategie che prevengano fasi critiche.

E non che le subiscano costantemente.

 

 

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