Il Partito Democratico “non esiste più”, ammette a Impaginato Quotidiano l'ex sindaco dell'Aquila Massimo Cialente che, in vista della nuova guida del Nazareno, abbozza un ragionamento sul presente dei democrat e soprattutto sul futuro delle singole territorialità, con un focus particolare riservato all'Abruzzo, dove si potrebbe replicare “il modello Torino”.
PRIMARIE?
Punto di partenza la sortita del governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, che chiede la guida del partito con un congresso e con le primarie. “E'una follia – commenta Cialente – nata dal fatto che fino a ieri eravamo nel bipolarismo, dove era possibile eleggere il segretario e assieme il candidato premier in un'unica figura. Basta con la ridicola idea delle primarie.
Oggi quello scenario non c'è più e bisogna tornare, innanzitutto, ad avere i partiti”. Ma come? Secondo Cialente sullo sfondo c'è una evidente crisi irreversibile della socialdemocrazia europea e dei moderati europei.
Basta “osservare cosa accade alla Merkel, all'Austria e allo stesso Macron che è stata una vera invenzione e in Italia, dove a causa della rabbia emotiva e del fallimento, hanno vinto due populismi funzionali ai due bacini elettorali che li hanno votati”.
In fondo, sottolinea, ognuno nel M5S “trova un po'quello che cerca”: lì nasce il poblema italiano per Cialente, nella cornice fatta da sovranismi, illusioni, territori dove regna l'assistenzialismo, con un debito pubblico impressionante che rende Roma un paese debolissimo. E'in quel pertugio che moltissimi cittadini elettori hanno “scelto la via della scorciatoia, fatta di proposte che sono anche belle: con mille euro di pensione sistemo la suocera, col reddito di cittadinanza mio fratello disoccupato, con la flat tax pago meno tasse e mi resta molto in tasca, ma poi il Paese?”.
PUNTO DEL NON RITORNO
Quel punto illusorio, condito dai dati elettorali, segna per Cialente il punto del non ritorno, oltre il quale la prospettiva democratica può vertere solo ad una nuova stagione fatta di ragionamenti: cosa c'è dietro il voto? Come leggere quelle percentuali sopratttutto al meridione? “Vedo la perdita della speranza, in modo più evidente da parte dei giovani, che si combatte con la presenza dei partiti”.
Ma proprio il Partito Democratico, con il risultato imbarazzante fatto registrare in Abruzzo, ha dimostrato che con quei giovani non riesce proprio a parlare. “Verissimo. Sere fa in una riunione di partito – racconta - qualcuno ha detto che bisogna tornare a parlare tra la gente: ma credo che prima di tornare in strada sia il caso di avere chiaro cosa dire alla gente, altrimenti è inutile”. Per cui ripartire da un conteneitore che abbia “delle nuove idee, discuterle e con lo strumento delle tesi presentarsi alla Direzione”.
NERVO SCOPERTO
Continuare a criticare i valori di sinistra, aggiunge, non è saggio: la giustizia sociale, le pari opportunità per tutti, l'equità sociale, il diritto alla vita e alla dignità fatta da lavoro e istruzione. “Questo obiettivo va spiegato alla gente come renderlo compatibile con la globalizzazione e con la contingenza di un'Italia ridotta alla fame, come i dati Istat ricordano”.
E indica l'esempio dell'esame di maturità: “Il Pd è di fronte al tema del futuro: scriva cosa intende fare per l'Italia e in quale modo”. E qui entra in gioco l'organizzazione di Renzi che ha prodotto “la disarticolazione completa del Pd, che ad oggi non esiste più”. Non si riunisce, non sceglie il gruppo dirigente “attraverso le emozioni, non c'è il dibattito sui temi, come la patrimoniale, oltre il quale si stabilisce una linea”.
QUI ABRUZZO
“Alla gente poco importa dei risultati ottenuti in passato – osserva, con riferimento alla campagna elettorale territoriale – ma vuol sapere cosa farai domani, cosa c'è dietro l'angolo”. Lecito chiedersi, cosa è accaduto nel Pd d'Abruzzo?
“Se la diagnosi – ragiona – è che la colpa sia di D'Alfonso, Cialente o Pezzopane, oppure di quelle candidature che, come pensa un segretario provinciale, non hanno scaldato il partito, beh c'è una terapia adeguata: ovvero rimuoviamo questi ostacoli. Se invece il problema è, come ritengo io, che l'Abruzzo si senta meridione e quindi vota M5s per protesta, allora la terapia è un'altra”.
Quale? “Parlare alla testa della gente e non alla pancia, non imboccando il reddito di cittadinanza ma spiegando perché per aprire un'azienda servono mesi se non anni”. Altro problema, connesso, quello dei cambi di tesi come la marcia indietro elettorale di D'Alfonso sul gas a Bomba, prima favorito ma poi avversato, che producono delle vere e proprie falle emotive.
“Se si punta sul gas a Bomba o se si dice di no, serve farlo non in modo estemporeneo. Bisogna decidere se nel puzzle di Abruzzo che si ha in mente si intende puntare su uno dei settori di sviluppo come turismo, isola felice e ambiente, e quindi dire no al gas, oppure se al contrario si ha un'altra visione dell'Abruzzo che sarà nel 2040 in cui fondamentale sia sfruttare le risorse come occasione occupazionale, e allora si dice di sì. Ma dipende dal progetto iniziale, perché il lago di Bomba è diventato un pezzo del puzzle: può essere un pezzo dorato o meno, ma prima dei repentini cambiamenti di idee contano le vocazioni iniziali”.
Una possibile via di fuga? Il modello Torino, conclude, dove un sindaco che si chiama Castellano è stato capace di immaginare per tempo la trasformazione della città, da industriale e operaia a vocazione turistico-culturale.