Premessa: nella vita, come negli affari e nella politica, gli schiaffoni si danno e si prendono. Ma il porgere una gancia e l'altra ancora attiene ad una sfera prettamente religiosa, più che legata a pil e posti di lavoro.
Negli utimi giorni l'Italia ha incassato un “liscio e busso” da Amsterdam e Ankara su Ema ed Eni, senza palesare una reazione minimanente irritata. Per dire, se fosse capitato a Parigi o Berlino, i pugni sul tavolo sarebbero stati sbattuti davvero, ma non per il gusto di contestare o contrapporsi forzosamente. Bensì per la consapevolezza che leggi e regolamenti o valgono per tutti oppure no.
Giocare in attacco, come insegna la rivoluzione calcistica adottata da Arrigo Sacchi negli anni '90, forse è l'unica strada per smettere di accontetarsi della mini ripresa mentre altre aziende lasciano lo stivale (e i lavoratori a casa).
Partiamo dall'Agenzia del farmaco che, tra sedi inadeguate, burocrati che si dimettono e documenti secretati, ha vissuto una pagina di scarsa trasparenza che rasenta l'illegalità. Se fosse capitato a parti invertite, magari in un ente del Mezzogiorno d'Italia, i giornali europei avrebbero fatto a gara per denigrarci e per inneggiare al “biscotto” o alle “mafie” così come quando si scontrano le nazionali di calcio.
C'è stata una sottovalutazione dell'intero dossier da parte del governo? Il commissario Ue italiano, lady Pesc, oltre ad occuparsi della mancata partecipazione ai tavoli che contano (come su Siria, Libia e gas nel Mediterraneo orientale) perché non ha quantomeno controllato che tutto filasse liscio?
Sull'Eni il paradosso è, se possibile, ancora peggiore, perché un colosso che tutto il mondo ci invidia, capace grazie al know how italiano di scoprire un giacimento significativo lì dove le grandi potenze non c'erano riuscite, è isolata da un punto di vista istituzionale. Come se il governo (dello stesso Paese dell'Eni) non disponesse degli strumenti per accompagnare la multinazionale, che dà lavoro e utili, nelle nuove sfide che si stanno consumando nel Mediterraneo, tornato finalmente centrale grazie alle dinamiche legate agli idrocarburi.
L'affronto militare subito dalla Turchia senza una presa di posizione netta da parte di Palazzo Chigi e Farnesina è un errore grammaticale blu, che se non sanato condurrà ad altri scivoloni in uno scenario dove è protofanica l'inconsistenza di Roma di fronte all spregiudicatezza di Ankara.
Se a ciò si aggiunge la contingenza che il nostro Ministro degli Esteri non ha un partito alle spalle (Ncd si è sciolto) e non ha consistenza politica, il quadro assume contorni ancora più gravi.
Un anno fa, quando il presidente americano Donald Trump si era insediato alla Casa Bianca, il ritornello maggiormente in voga era quello che, finalmente dopo decenni, Washington avrebbe allentato le sue attenzioni sul quarante mediterraneo per concentrarsi invece in quello orientale ed indiano e, quindi, stimolando il vecchio continente e i paesi che sul mare nostrum si affacciano, a maturare e darsi una condotta geopolitica autonoma.
Dopo dodici mesi non solo in Libia la normalizzazione istituzionale è lontana, non solo in Siria la Turchia continua a massacrare i curdi per proprio tornaconto, non solo lo sviluppo balcanico è direttamente proporzionale alle influenze di Berlino e Mosca, ma finanche la partita per il gas vede l'Italia sedersi in ultima fila.
Sappiano i segretari di partito impegnati in questa deprimente campagna elettorale che la politica da “don Abbondio” produrrà altri casi Ema e Eni, mentre Macron è sempre più euroleader. E Roma affonda nelle proprie inconsistenze culturali e geopolitiche.
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