Secondo i commissari inviati da Bankitalia è stata la banca degli sprechi e delle opacità, la banca dei comitati d'affari e dell'autista che dettava la linea. A giudizio del procuratore della Repubblica di Chieti, invece, potrebbe essere stata proprio la "pressante attività ispettiva di Bankitalia" ad infliggere il colpo di grazia all'istituto di credito.
Alla fine potrebbero rivelarsi verità complementari, ma in ogni caso spetta alla magistratura il compito di fare luce sulle responsabilità. L'unica certezza è che CariChieti, per oltre un secolo e mezzo il principale istituto di credito della provincia teatina, il 22 novembre 2015 è stata posta in risoluzione con un decreto del governo Renzi.
Un provvedimento che ha riguardato anche Carife, Banca Etruria e Banca Marche, e che di fatto ha significato la fine delle quattro banche. Dal giorno successivo CariChieti è stata rifondata come Good Bank, con denominazione di Nuova CariChieti e il 10 maggio scorso è stata ceduta al gruppo Ubi Banca. Un'operazione che ha beffato centinaia di risparmiatori abruzzesi sottoscrittori di obbligazioni subordinate, che ha innescato diversi procedimenti giudiziari, che ha privato il territorio di uno degli ultimi istituti di credito locali e che lascia ancora irrisolti una serie di interrogativi.
DALLE PRIME ISPEZIONI ALLA NUOVA CARICHIETI
Negli ultimi anni di attività CariChieti contava un'ottantina di filiali in tutto il territorio abruzzese. Fin dagli anni Sessanta l'istituto di credito era noto per i rapporti privilegiati con il potere politico e in particolare con l'area della Dc gaspariana. Relazioni che, con il passare degli anni, daranno vita ad una fitta rete di legami con esponenti dei partiti e del mondo imprenditoriale. Negli anni Duemila iniziano i problemi, con Bankitalia che nel 2009 dispone la prima ispezione. Vengono segnalati problemi di governance, legati alla gestione amministrativa della banca e sofferenze crescenti.
Le ispezioni si intensificano, ripetendosi nel 2010 e nel 2012, quando Bankitalia si sofferma sul ruolo svolto da Domenico Di Fabrizio, ex consigliere comunale, autista dell’ex direttore generale Francesco Di Tizio e prima ancora del ras della Dc abruzzese Remo Gaspari, definendo Di Fabrizio "capace di incidere sulle scelte dei Cda della Fondazione e della banca CariChieti". Di Fabrizio, nel gennaio del 2013, si dimette per motivi di salute, con un incentivo all’esodo di 120mila euro. Il 5 settembre del 2014, dopo la quarta ed ultima ispezione, CariChieti viene commissariata dal ministero dell'Economia e delle finanze su proposta della Banca d'Italia, che rileva pesanti irregolarità amministrative.
Nel rapporto firmato dal governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, inviato all'ex ministro Pier Carlo Padoan, si fa riferimento al campione degli impieghi che a fine 2013 conta sofferenze per 435 milioni di euro e previsioni di perdite per 306 milioni di euro, con una perdita di esercizio di 11,4 milioni di euro.
Nel mirino di Bakitalia finiscono anche tre prestiti, mai restituiti, che contribuiscono alle sofferenze dell'istituto teatino. Presiti per 109 milioni di euro, concessi all'imprenditore della sanità privata Carmine De Nicola, con alle spalle cinque fallimenti in due anni, all'imprenditore nel campo delle auto di lusso Gianni Paglione e al costruttore veneto Andrea Repetto.
Bankitalia, inoltre, contesta al presidente e al dg di CariChieti la mancata comunicazione della riassunzione di Di Fabrizio, con accordo sindacale in deroga al blocco delle assunzioni, e li accusa, "a seguito di richieste di chiarimenti, di avere fornito informazioni non veritiere con riferimento alla data dell'accordo sindacale".
Nel rapporto c'è spazio anche per le ingerenze poco chiare della Fondazione sulla banca, per i rischi in materia di antiriciclaggio e per i 5 milioni di euro di crediti concessi ad una società, riconducibile ad un membro del Cda della fondazione, "senza l'acquisizione di garanzie ipotecarie".
Un anno dopo, il 22 novembre del 2015, il Consiglio dei ministri approva il decreto legge 183, che su proposta della Banca d'Italia dispone la risoluzione dell'istituto, con l'azzeramento totale del valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate.
I commissari decadono in seguito alla cessione della vecchia banca, messa in liquidazione a favore della nuova, denominata Nuova CariChieti, che assorbe i diritti, le attività e le passività, con esclusione delle passività subordinate, e inizia ad operare il 23 novembre.
OBBLIGAZIONISTI BEFFATI
Sono 734 i clienti della vecchia CariChieti che avevano acquistato obbligazioni subordinate per un valore complessivo di 22 milioni di euro e che il 23 novembre del 2015, il giorno dopo l'emanazione del decreto da parte del Governo, scoprono di avere perso tutto.
"Parliamo quasi esclusivamente di risparmiatori - spiega Vittorio Ruggieri, vice presidente del Codacons Abruzzo, che ha assistito numerosi obbligazionisti della vecchia CariChieti -. Quelle obbligazioni sono state acquistate da padri di famiglia, artigiani, persone che hanno investito l'eredità, il Tfr o l'indennizzo di sinistri stradali per la perdita di cari, o che magari hanno investito i propri risparmi in vista del matrimonio o dell'acquisto di una casa. E' sufficiente osservare i tassi bassissimi che venivano garantiti, per rendersi conto che non c'era nessuna volontà specultativa e che quei tassi potevano essere facilmente ottenuti anche investendo in altri prodotti".
Secondo Ruggieri, "come ha giustamente ha osservato anche l'ex ministro europeo delle Finanze, le obbligazioni subordinate non dovevano assolutamente essere immesse nel mercato dei piccoli risparmiatori, perchè erano strumenti di una complessità tale che non potevano che riguardare soltanto i professionisti del risparmio".
Valerio Lemma, ordinario di Diritto dell'economia all'Università Guglielmo Marconi di Roma, che in alcune sue pubblicazioni si è soffermato sul caso CariChieti, osserva come la definizione di obbligazione subordinata implichi soltanto che, "in caso di liquidazione di una banca, quelle privilegiate vengano pagate prima e quelle subordinate con ciò che resta. Qui non c'è stata liquidazione, qui c'è stato un intervento normativo che ha stabilito che alcune obbligazioni dovessero essere trasferite ad una nuova banca e altre no perchè subordinate - rimarca, però, Lemma -. E' stata una scelta del legislatore quella di utilizzare le risorse disponibili, raccolte a fronte delle obbligazioni subordinate, per il salvataggio della banca".
La situazione, per gli obbligazionisti CariChieti, inizia comunque a volgere in positivo. Circa il 50% di coloro che avevano acquistato i bond subordinati hanno infatti utilizzato il provvedimento legislativo dello scorso anno, che dava la possibilità di richiedere un indennizzo pari all'80% della perdita, a patto che le obbligazioni fossero state acquistate entro il 14 giugno 2014. Altro requisito necessario era un reddito sotto i 35mila euro lordi al 31 dicembre del 2015 o, in alternativa, un capitale immobiliare inferiore ai 100 mila euro.
Inoltre quest'anno è entrato in vigore il provvedimento che regola l'arbitrato e che concede, a coloro che non hanno richiesto l'indennizzo, la possibilità di ricevere fino al 100% della perdita subita, a condizione che sia dimostrata la violazione dell'obbligo informativo e dunque dei principi di correttezza, lealtà e buona fede.
"Circa il 30% degli obbligazionisti CariChieti ha percorso questa strada - spiega il vice presidente del Codacons Abruzzo -. L'assegnazione al collegio arbitrale dovrebbe avvenire il 19 dicembre e in seguito il collegio avrà 7 mesi di tempo per portare a conclusione la procedura".
Una terza strada potrebbe essere quella della costituzione di parte civile, in caso di rinvio a giudizio degli ex commissari della Banca d'Italia attualmente indagati. Se così fosse, potrebbe essere avanzata una richiesta di risarcimento civile in sede penale.
"Inoltre c'è stata un'ordinanza molto interessante del tribunale di Ferrara, che di fatto ha riconosciuto la legittimazione passiva nei confronti delle nuove banche - conclude Ruggieri -. Questa ordinanza apre dunque una quarta strada, che consiste nelle azioni civili nei confronti delle nuove banche, che sono tenute a risarcire gli obbligazionisti qualora ci siano state violazioni del Testo unico bancario o dei regolamenti Consob".
IL RUOLO DEI COMMISSARI
Il tribunale di Chieti, nel luglio del 2016, dichiara lo stato di insolvenza della vecchia CariChieti, riconoscendo che la banca aveva un patrimonio netto negativo, dopo perdite per circa 150 milioni di euro nel bienno 2014-2015, tale da non consentire il proseguimento della normale attività creditizia.
Questo risultato - mettono in luce però i giudici - è stato conseguito a seguito di svalutazioni finali sui crediti per circa 243 milioni di euro, sui quali il tribunale ritiene di non essere stato messo in grado di valutare la congruità. In sostanza, mancando le informazioni necessarie, i magistrati spiegano di essere costretti ad accettare a scatola chiusa le cifre fornite da Bankitalia e dai commissari.
La Procura di Chieti sembra però intenzionata a vederci più chiaro e ha iscritto nel registro degli indagatigli ex commissari straordinari, nominati dalla Banca d'Italia, Salvatore Immordino e Francesco Bochicchio. "L'ipotesi di lavoro è l'eccessiva svalutazione dei crediti avvenuta poco prima della risoluzione del novembre 2015 - ha confermato dieci giorni fa il procuratore di Chieti, Francesco Testa, in audizione davanti alla Commissione bicamerale d'inchiesta sulle banche presieduta da Pierferdinando Casini -. Il reato ipotizzato è quello di bancarotta, ma serve il profilo di dolo e questo è tutto da accertare".
Testa ha messo in rilievo che CariChieti "era sotto osservazione perché aveva problemi di trasparenza. La Banca d'Italia li aveva segnalati attraverso un'attività pressante - ha proseguito il magistrato -. Quattro ispezioni in altrettanti anni sono un numero importante".
E poi ha aggiunto: "Non dimentichiamo che parliamo di una banca risolta dopo alcuni anni di commissariamento straordinario, una banca che sicuramente era già critica. Se la svalutazione dei crediti operata poco prima della risoluzione abbia dato la mazzata finale o sia stata un fattore autonomo lo dobbiamo ancora verificare".
Su questo aspetto è interessante la lettura di Lemma. "Anche la persona più ricca del mondo, se perde la componente attiva, sarà insolvente - dice il docente della Luiss -. Ad essere mal congegnata, però, non è stata l'attività di vigilanza, ma la regolamentazione. La banca fu commissariata per problemi di governance e non per problemi finanziari o perdite patrimoniali come altre banche. Questa banca si è poi ritrovata ad avere anche problemi patrimoniali, ma questo è normale - aggiunge Lemma - perchè un risparmiatore dopo un anno e mezzo di commissariamento può decidere di cambiare il proprio conto bancario".
Secondo il docente di Diritto dell'economia, dunque, "durante la gestione commissariale la banca potrebbe aver perso valore, tuttavia, come affermato dallo stesso tribunale civile, non è stato possibile ricostruire le dinamiche di quella perdita di valore, proprio per le modalità previste per la risoluzione, un procedimento tecnico proveniente da un contesto europeo".
SI SAREBBE POTUTO AGIRE DIVERSAMENTE?
"Non si poteva fare diversamente, perchè parliamo di una materia che non dipende più dal governo italiano o dalla Banca d'Italia. Parliamo invece di una materia armonizzata che deriva dalle regole europee". E' netta la posizione di Lemma. Il decreto del governo Renzi, nel 2015, era un atto dovuto.
"Vivevamo un momento di passaggio, perchè in Italia l'articolo 47 della Costituzione afferma la tutela del risparmio, mentre i trattati europei non hanno questa impostazione e hanno invece come obiettivo la tutela della stabilità dei prezzi - sostiene l'esperto -. Il nuovo sistema al quale abbiamo aderito, nell'ambito dell'Unione Europea persegue la stabilità, e quindi comporta l'applicazione di procedure di risoluzione, che non tutelano ad ogni costo il risparmio, anche a danno dei contribuenti. Una volta, quando si voleva indicare di avere messo qualcosa al sicuro, si diceva di avere messo qualcosa in banca - rimarca Lemma -. Non è un caso che questo sia un detto italiano e non europeo".
In sostanza, secondo l'esperto, alla base del mancato salvataggio di CariChieti ci sarebbe proprio il cambiamento del quadro normativo. "CariChieti si è trovata nella fase di commissariamento proprio durante una fase di evoluzione normativa e l'operazione ha portato all'esito a cui sono approdate anche Carife, Banca Etruria e Banca Marche - afferma il docente -. La Banca d'Italia si è trovata ad applicare una disciplina che, nel passare dal piano nazionale a quello europeo, comportava significative divergenze rispetto al passato. Dopodichè i commissari hanno fatto il loro lavoro e il tribunale, che aveva il compito di dichiarare lo stato d'insolvenza, ha ratificato gli esiti di una procedura molto rigida, secondo la quale tutti gli attivi sono stati ceduti dalla banca vecchia alla banca nuova, e quest'ultima è risultata necessariamente insolvente".
Lemma ricorre ad una metafora efficace. "In pratica è stato preso tutto il patrimonio e portato in una nuova banca - dice l'esperto -. Se si prende la banca dello sceicco del Brunei, il più ricco del mondo, e gli si dice che da domani tutti i suoi soldi saranno di un altro, è ovvio che diventerà povero anche lui. Poi il problema se fosse già povero al momento in cui sono stati trasferiti i soldi riguarda un'altra indagine".
Un'indagine che sta provando a compiere la procura di Chieti e rispetto alla quale Lemma non si sbilancia. "Se i commissari abbiano fatto bene o male il proprio lavoro - conclude il docente universitario - è un tema di cui non mi sono mai occupato e, dalle notizie di stampa, sembra essere al centro dell'operato della magistratura penale".
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