Al di là del colore politico che figlierà il nuovo governo di coalizione in Germania, dopo il passo indietro dei liberali, c'è un dato che dovrebbe far riflettere cancellerie e intellighenzie. Una pagina di storia europea si sta di fatto archiviando, con tempi e modi ancora incerti, ma con il punto fisso rappresentato dalla crisi del socialismo europeo e del modello fin qui offerto di eurogovernance.
E le elezioni tedesche, stringenti per i mille dossier ancora irrisolti a Bruxelles, rappresentano la summa di quella spaccatura politica e sociale.
Quando si osservano i numeri e i trend europei che tutti danno come in crescita e in miglioramento rispetto ai nefasti mesi post Goldman Sachs e crisi greca, è chiaro che si scorgono segni “più”. Fisiologico che dopo un lustro di ansie, tasse, spread e annunci pericolosi da parte di alcune agenzie di rating vi fosse, oggi, un segnale di ripresa, con l'Italia che, al netto di rivendicazioni di Palazzo Chigi, resta fanalino di coda dei membri. Ma il dato è relativo al domani, più che al dopodomani.
Resta una drammatica vacatio di visioni e programmi che si sposa benissimo con la difficoltà di Angela Mertkel di comporre il suo esecutivo. Della crisi del socialismo europeo si è già scritto, e a nulla servirebbe infierire sui vari Hollande, Blair o Tsipras quando in molti rimpiangono Mitterand, Tathcher e, per quello che ha fatto da un altro versante ideologico (e oceanico), Reagan. Ma se anche la casa del popolarismo di coalizione, ovvero la Cdu merkeliana, si specchia oggi nelle proprie contraddizioni legate a tematiche sensibili come migrazioni, terrorismo internazionale, approccio alla globalizzazione ed alla concorrenza cinese, carenza di programmazione nel vecchio continente, allora vuol dire che la crisi, da finanziaria e legata alla moneta unica, si è fatta partitica e sociale.
Purtroppo non c'è un faro a cui guardare in questo momento di buio pesto, non si scorge una rientranza dove dirigere l'euroveliero in attesa che passi la burrasca. Ma si può immaginare di ricostruire, perché questo è il momento.
Il momento in cui le certezze dei padri fondatori dell'Ue, Spinelli, Adenauer e Schumann si stanno infrangendo contro mille politiche contraddittorie; il momento in cui manca una voce unica su sicurezza e difesa, con i jihadisti che stappano champagne indisturbati, tanto in Tunisia quanto in alcune moschee d'Europa; il momento in cui non è la Francia a fare una fuga in avanti alla voce Libia, ma l'Italia a non essere ancora capace di fare davvero i propri interessi; il momento in cui il Mediterraneo torna nevralgico per i destini economici del mondo per via delle nuove vie del gas e della Via della Seta e l'Italia non è capace di proporre Gioia Tauro o Taranto come hub; il momento in cui grazie all'accordo con l'Iran, anche per noi si aprono nuovi e succulenti mercati, da aggredire con competenze e senza clan o inner circle; il momento in cui la dorsale balcanica da barriera verso la cortina di ferro si sta trasformando in occasione di sviluppo e coesione; il momento in cui c'è da fare la nuova Europa che non sia come quella conosciuta sino ad oggi.
Che non imponga la grandezza delle reti da pesca ai pescatori, ma disegni traiettorie di sviluppo e occupazione. Che non decreti l'acquisto dalla Tunisia di olio senza dazi, ma inasprisca i controlli sulle truffe all'extravergine di oliva di cui siamo campioni del mondo; che non faccia furbate sul grano al glifosato, con due agenzie europee che hanno, ad oggi, ancora due posizioni diverse su un tema assolutamente scottante per la salute di tutti.
Ecco, anche per queste pillole tematiche l'Ue è entrata in crisi valoriale e partitica. E Goldman Sachs questa volta c'entra davvero poco.