Se non riconoscete al vino un valore edonistico, forse fareste meglio a non berne. Sembrerà perentorio ma se non bevete per quel momento preciso in cui il liquido dal calice invade la bocca e solletica le papille gustative, donando loro una sensazione che i neuro trasmettitori fanno codificare al cervello come “piacere”, allora credo che avrete difficoltà a capire quella sciocca ebrezza che sfiora la felicità che ogni “avvinato” (o come fa figo dire “winelover”) prova.
Questo prescinde ogni tecnicismo, perché in questa vasta e sconfinata materia, contano poco, anzi ad essere onesti, secondo me le nozioni tecniche, non sono che delle ottime stampelle a cui sorreggersi quando un vino non è di quelli che incontrano immediatamente il nostro gusto, quando ha bisogno di un traduttore per raccontarci in maniera comprensibile il suo messaggio.
Il vino che vi racconterò in questa occasione, è certamente un “must have”, ossia uno di quelli che va bevuto almeno una volta nella vita, che rappresenta un'icona per gli amanti del genere e che probabilmente i frequentatori dell'Abruzzo di sovente incontrano.
Il vitigno autoctono, è stato nel tempo vittima di una vinificazione a volte scellerata, ingiustamente massacrato per renderlo migliore, o semplicemente avvicinarlo alle mode del momento, senza riconoscergli quell'adorabile sincerità che lo contraddistingue. Insomma come quelle starlette che ricorrono a parrucche e camouflage per sembare più interessanti, dimenticando che l'autenticità può non piacere, ma certamente non deludere.
Il vino in questione si presenta giallo paglierino con alcuni riflessi verdolini, la luce quando lo trapassa è brillante e luminosa segno della finezza di stile del prodotto. Questo vino profuma: di erba di campo, di ginestre, di tarassaco e di mela quando è nel pieno della sua maturità con la buccia gialla e la polpa dolce.
Ogni sorso è un piacere di freschezza. Che sia con un salame non troppo stagionato accompagnato da una focaccia tiepida, o uno spaghetto alle vongole, lui compie in maniera egregia il suo dovere, ti fa dimenticare dell'ultimo boccone, per invitarti al successivo.
Non è difficile chiudendo gli occhi, capire il territorio che questo vino racconta. È una zona fatta di dolci colline assolate e punteggiate di alberi d'ulivo, che si alternano alle fitte trame delle vigne, che in estate sono scaldate dal sole e di notte animate da fresche brezze, la parte collinare dell'Abruzzo, quella bella, quella che accoglie e rasserena. Forse per questo, credo sia più di ogni altro, il vino del pranzo in famiglia e della domenica tutti insieme. È il vino dell'aperitivo con gli amici, quando il vociare si alterna alle risate. È il vino della festa improvvisata che celebra la gioia.
È il Trebbiano Fontecupa 2016 di Camillo Montori, un vino semplicemente sincero che raccoglie e condensa il bello di un territorio e lo trasforma in sorsi di “piacere”.
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