La morte dei migranti è sempre un dramma. Come quella degli innocenti al Bataclan. Nessuno sano di mente può obiettarvi, ma se non si solleva la coltre di ipocrisia (e di profitto) calata pesantemente sul punto, sarà difficile individuare una soluzione che sia logica, umana e condivisa.
Le parole consegnate alla Stampa dell’arcivescovo di Tunisi, monsignor Ilario Antoniazzi (“Sono persone che fuggono da miseria, guerre... e cercano una vita migliore. Si illudono di trovare in Europa il paradiso terrestre. L’incidente in mare con la marina tunisina ha impressionato molto perché la rotta per l’Italia si era quasi estinta. È stato un ritorno alla triste realtà del passato”) vanno analizzate e scomposte, al fine di trovare la quadra. Senza fanatismi né buonismi.
Che carceri e disagio siano il terreno fertile per l'Isis in Tunisia è cosa nota da almeno un triennio. Numerosi sono stati i report che documentavano come, l'illusione rappresentata dalle Primavere arabe su cui poi l'occidente intero si è tirato indiero, ha prodotto altra incertezza e quindi altre sacche di disoccupazione. Manna per i jihadisti che, con lo stimolo di uno stipendio fisso, sono riusciti ad arruolare migliaia di foreign fighters proprio a Tunisi. E lo dimostra, tra le altre cose, il colpo che il turismo ha subito lì dove gli attacchi si sono concentrati contro resort e spiagge piene zeppe di bagnanti increduli.
Ma non una parola viene detta, oggi, su come Usa ed Ue hanno voluto gestire il fenomeno delle Primavere arabe. Esattamente al contrario di come andava fatto ed oggi i frutti di quegli errori si ritrovano alla voce Isis. E non ha senso puntare l'indice ogni due per tre contro il generale Haftar in Libia che comunque, anche grazie al supporto di Egitto e Russia, continua a menare fendenti contro i terroristi. Il problema risiede nella gestione complessiva e nella mancata programmazione da parte di Bruxelles e Berlino.
Non è funzionale alla strutturazione di una politica armonica l'afonia del Commissario Ue agli Esteri, che ha lasciato spazio conseguentemente alla solita corsa in ordine sparso. Fisiologico che Parigi e Berlino abbiano fatto “per conto loro”, con Roma a seguire più indietro, fatta eccezione per il decisionismo del ministro dell'interno Marco Minniti, capace di mettere un punto sul dossier immigrazione/terrorismo senza attendere le mosse delle altre cancellerie.
Mons. Antoniazzi non sbaglia quando osserva che è la Tunisia il paese più sicuro nel Maghreb. Merito dei passi avanti che in questi anni sono stati fatti, alla voce diritti e politica. E'dal 2013 che dopo la Rivoluzione dei Gelsomini in Tunisia si sono affacciate due squadre nell'agone politico: da un lato chi voleva “sterilizzare” la rivoluzione, evitando il ritorno sulla scena di esponenti politici collusi con il vecchio regime e dall'altro chi ha scelto la violenza con l’assassinio di membri dell’opposizione come Mohamed Brahmi, leader del Movimento del Popolo e membro dell’opposizione tunisina, freddato a Tunisi.
Ma il nodo è ancora più a sud, nalla fascia subsahariana dove militari francesi e inglesi sono in pianta stabile ormai da anni. Come mai non riescono a impedire che i flussi migratori si arrestino? Come mai la strada libica è stata individuata da tempo come un corridoio ibrido e ombroso, su cui tutti, ma proprio tutti stanno incassando una sostanziosa stecca?
Queste le domande da porsi, e da porre alla politica, prima del consueto requiem per vittime e vite spezzate nel Mediterraneo.
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