Se qualcuno si illudeva che l'ennesima visita del generale Khalifa Haftar all'Eliseo avrebbe prodotto una soluzione (anche ponte) al caos in Libia si sbagliava, ieri come oggi. Non può essere (solo) la Francia la leva per azionare un meccanismo che forse in fondo nessuno vuole davvero, tanto a Tripoli quanto a Bengasi.
Il presidente francese Emmanuel Macron ricevendo l'uomo forte della Cireanaica ha fisiologicamente puntato a rafforzare il proprio ruolo nel paese, o nelle fette di interesse, ma di interlocuzioni generali con l'obiettivo di chiudere la partita non c'è l'ombra. E non potrebbe esserci con queste premesse.
Da un lato l'Eliseo lo ha chiamato a riprendere il processo politico per uscire dalla contrapposizione che ha prodotto più di 500 morti e gli ha chiesto una rapida cessazione delle ostilità. La contingenza, però, al di là delle pretese dei singoli, parla di una fortissima sfiducia tra gli attori libici, sommata all'impasse complessiva.
Durante i colloqui parigini, alla presenza del ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian, il generale "ha spiegato e giustificato" l'offensiva militare che ha lanciato all'inizio di aprile su Tripoli, ma di cui come sostenuto da moltissimi organi di stampa aveva già da tempo informato i suoi “protettori” Parigi e Cairo. Haftar ha detto a Macron che la situazione sul terreno è "in corso", assicurando che "sta gradualmente consolidando le sue posizioni" . Al termine del vertice durato solo un'ora si è detto "convinto che una ripresa del processo politico è essenziale", ma senza indicare modi e tempi.
Insomma, l'ennesima passerella buona per taccuini e telecamere ma senza sostanza vera con al centro il piatto forte del risiko libico senza un cronoprogramma, senza la banché minima strategia che coinvolga tutti gli attori. Si dirà che le elezioni europee stanno monopolizzando le attenzioni dei paesi membri, (e non è una mera ipotesi, ma deprimente reatà). Ma allora non ci si può poi dolersi se il caos sovrano regna incontrastato tanto in Libia quanto in Siria, dove si giocherà a breve la succulenta partita per la ricostruzione a cui l'Italia non parteciperà.
Ciò che resta sul terreno, oltre alle macerie e ai posti di blocco, è il fattore umano: il gruppo degli sfollati, dei feriti, dei dimenticati che potranno essere facile preda del fondamentalismo islamico legato all'Isis, come accaduto per la “manodopera” tunisina.
L'Europa se ne accorgerà solo “dopo”. Come sempre.
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