“Non siamo schiavi, ma indipendenti”. La frase sibillina del presidente turco Recep Tayyip Erdogan è diretta alla Casa Bianca. E tocca il nervo scoperto sull'asse Ankara-Washington: le forniture militari, che si incorniciano in una contingenza densa di dossier delicati.
Donald Trump lo ha detto chiaramente da tempo: la Turchia non può acquistare il sistema missilistico russo S-400 senza conseguenze politiche. La risposta di Erdogan è secca: si tratta di un affare fatto.
Per cui non sembra esserci spazio per marce indietro o riequilibri, anche perché di dossier in ballo ce ne sono anche altri, come le future strategie in Siria e gli F35 che dagli Usa sono in molti a non voler più vendere nel Bosforo: il Pentagono infatti teme che il sistema russo possa essere usato per raccogliere informazioni sulle capacità del jet di ultima generazione, che nei mesi scorsi è stato ad esempio già impiegato da Israele.
Erdogan ha interrotto il suo anomalo silenzio, precisando che sarebbe fuori questione revocare l'accordo sugli S-400, "un atto così immorale non ci andrebbe bene". Secondo il presidente turco nessuno dovrebbe tentare di “domare la Turchia" con minacce di natura commerciale, sottolineando che il suo governo dirà di no alla proposta statunitense di vendere il proprio sistema di difesa missilistica Patriot, a meno che non ne condivida la tecnologia.
"Non entreremo in un accordo se insistono nel mantenere la 'chiave' del sistema", ha detto Erdogan passaggio che invece fa mostra di avere in mano riguardo alla tecnologia degli S-500 dopo gli S-400.
Una partita a scacchi complicata e delicata, anche perché le tensioni non sembrano essere state sbriciolate come per magia dopo il caso del pastore americano e le accuse di Erdogan al suo nemico giurato Fetullah Gulen.
E' la Siria il fronte più caldo, con le mosse del Pentagono intenzionato a installare una forza multinazionale in una zona sicura della Siria pianificata per le obiezioni della Turchia. Inoltre Washington ha appoggiato la componente curda siriana che Ankara considera un altro nemico, anche se è stata proprio quella a combattere efficacemente l'Isis.
Insomma, Ankara vuole assicurarsi una zona sicura della Siria lungo il suo confine piuttosto che vedere la regia in loco da parte di una forza multinazionale, mentre Trump preme per una presenza armata internazionale. A corredo le schermaglie su missili e caccia, ma con sullo sfondo un'altra stagione di gravissime tensioni in un fazzoletto di terra (e di acque) particolarissimo.
Non fosse altro perché a cavallo tra due quadranti strategici come quello mediorientale e quello euromediterraneo.
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