Chi manda all'aria i piani di Erdogan in Siria?


Il trilaterale di Sochi accoglie la decisione di Trump di ritirare le truppe americane ma certifica che l'area deve essere restituita al presidente Bashar al-Assad


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
15/02/2019 alle ore 17:15

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A bocca asciutta, per mano degli alleati di ferro. 

L'idea turca di creare una zona cuscinetto nella Siria settentrionale, dopo che gli Stati Uniti hanno ritirato le proprie forze, ha subìto una battuta d'arresto a Sochi, quando la Russia e l'Iran hanno detto chiaramente che qualsiasi zona richiederebbe l'approvazione del loro alleato, ovvero Damasco.

Ecco che si plasma la reale consistenza di un triumvirato, quello tra Russia, Iran e Turchia dove i primi due non esiterebbero un secondo prima di mollare Ankara se quest'ultima, come sta facendo con cocciutaggine, sforasse i cosiddetti parametri politici (e umani).

Il superuomo Erdogan, autoproclamatosi leader oltre ogni potere, con un palazzo imperiale di duemila stanze e un Air Force One nuovo di zecca in stile Casa Bianca, ha forse per la prima volta capito che partita giocano i suoi alleati.

Il trilaterale di Sochi, se da un lato accoglie la decisione di Trump di ritirare le truppe americane definendolo "un passo positivo", dall'altro con Putin e Rouhani all'unisono, certifica che l'area deve essere restituita al presidente Bashar al-Assad. Con Erdogan che rimane spiazzato e con ambizioni molto ridotte.

Il nodo non è tanto nella scelta di Teheran e Mosca, quanto nel corto circuito che, per l'ennesima volta, si sta materializzando nella mente di Erdogan. Washington gli ha lasciato intendere chiaramente che non si scherza con il gas a Cipro: la prova si ritrova nella Sesta Flotta che supervisiona il lavoro di perforazione della Exxon Mobile, dopo le minacce dello scorso anno da parte delle fregate turche (che avevano messo in fuga la nave dell'Eni, Saipem 1200 ma non gli americani).

Ma anche nel progressivo disimpegno Usa in Afghanistan (i cui effetti sono ancora tutti da decifrare) e nella spinta che in queste settimane si sta concretizzando in Libia per sottrarre il maggiore giacimento del paese alle pretese di milizie e tribù più o meno allineate.

Segno che i players restano due: Usa e Russia. E tutti gli altri possono, semmai, scegliere la strada del silenzio apparente (come la Cina), o dell'iperattività strategica (come Israele). Ma non della presunta scaltrezza come Ankara fa ormai da anni.

 

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