C'è un passaggio, niente affatto secondario ma poco sovente sottolineato, della questione siriana che può davvero risultare decisivo nell'elaborazione di una strategia finalmente a lungo respiro: le prospettive che la Casa Bianca ha in mente per la Turchia.
Il dibattito sul ruolo di Ankara è ancora oggi molto ampio e articolato sia al di là che al di qua dell'Atlantico e, soprattutto, non è stato mai affrontato fino in fondo e in maniera oggettiva, scevra da contaminazioni ideologiche.
Il problema non è essere filo turchi o anti turchi: spesso negli ultimi anni i cittadini turchi, come quelli che sono scesi in piazza a Gezi Park, si sono dimostrati più democratici e più all'avanguardia di tanti altri occidentali presunti custodi della democrazia progressista.
L'imbuto è rappresentato dal filo concesso a Erdogan dalla comunità internazionale, che non ha fatto tutto il dovuto dinanzi a stupri sociali come i massacri di Gezi, come il golpe farlocco del 2016 che ha prodotto morti, feriti e incarcerati, come l'occupazione militare di Cipro, come la violenza mentale perpetrata contro calciatori, sportivi anti sistema, contro la tinta e l'intera sfera delle libertà individuali.
In questo contesto, distorto e futuristicamente abulico, si inserisce la mossa pericolosa degli Usa di lasciare carta bianca alla Turchia in Siria. Dimenticando da un lato il contributo dei curdi alla sconfitta dell'Isis e dall'altro la pericolosità di un leader come Erdogan mosso da ardore guerrafondaio e non da politics.
Il caso turco è evidente in tutte le sue contraddizioni: è sufficiente guardare alla sua posizione particolarmente strategica che negli anni ha prodotto un voucher a vita e che le ha consentito di godere di un trattamento di estremo favore per le sue condotte antidemocratiche.
Ankara, non va dimenticato, è stata partner basilare per l’Occidente impedendo l’uscita della flotta russa al di fuori dei Dardanelli. Il suo ruolo di anti russi per la Nato negli anni della guerra fredda ha prodotto uno status unico. Che oggi però straborda in un limbo di confini che altri Stati, ad esempio membri della Nato, non potrebbero travalicare per nessun motivo.
E'come quel vigile che toglie le multe ad un amico, svilendo il proprio ruolo di super partes.
In questo contesto la decisione a stelle e strisce in Siria produrrà una serie di effetti a cascata, alcuni prevedibili, altri meno. Ad esempio si potrà immaginare una sorta di pax bianca tra Washington e Ankara, condita da uno stop alle provocazioni turche nel Mediterraneo orientale dove primari players stanno cercando il gas.
Ma potrebbe essere anche l'inizio di quella fase finale di predominio macro regionale teorizzato dall'ex premier Ahmet Davutoglu nel libro “Profondità Strategica” (Stratejik Derinlik: Türkiye’nin Uluslararası Konumu, Istanbul 2001, Küre Yayınlari) che più di dieci anni fa metteva nero su bianco le priorità colonizzatrici delle politiche erdoganiane.
Dunque il 2019 sarà, non solo decisivo per capire davvero dove si spingerà il regime turco e quali altri paletti abbatterà pur di giocare un ruolo primario “a ovest e a est dell'Ellesponto”, ma finanche ansiogeno per chi, già oggi, sa quali altri dossier delicatissimi si apriranno a breve.
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