Mentre in Italia ci si dedica anima e corpo alla spiaggia “fascista” o alla infinita battaglia sui vitalizi, a due passi da casa nostra si fanno le prove generali di una quasi guerra. Si innalza il livello di allerta nel Mediterraneo Orientale dove il ministro della Difesa francese è a Cipro seguita da due fregate militari per valutare la crisi con Ankara. La Turchia, senza alcun appiglio legato al diritto internazionale, avanza pretese sul gas nella ZEE cipriota, dove sta operando l'italiana Eni con i francesi di Total.
Due giorni fa la portaerei americana USS George Bush si è presentata con discrezione nella zona per osservare le fasi della perforazione di Eni e Total nella ZEE, mentre un F16 turco ha sconfinato. Nonostante il fallimento dell'ennesimo vertice svizzero per la riunificazione di Cipro, Ankara non smette di inviare navi (oceanografiche e militari) nella ZEE cipriota, dove i rilievi sottomarini dureranno 75 giorni.
Il collasso dei negoziati è direttamente proporzionale all'intenzione turca di inserirsi in una partita dove però non ha alcun appiglio nel diritto internazionale. Invece Nicosia, pur essendo Stato membro dell'Ue e proprio al fine di chiudere la controversia, aveva proposto uno stato indipendente dall’influenza della Turchia. Ecco che, nell'anniversario del golpe farlocco che ha consentito a Erdogan di arrestare migliaia di magistrati giornalisti, oppositori politici e militari, anche Roma avrebbe dovuto forse inviare un rappresentante del governo così come fatto da Macron. Non fosse altro per mettere un punto fermo in una situazione che si è fatta ormai insostenibile.
Con Ankara il dialogo è ormai un'utopia, e a nulla serve proseguire nel voler mettere la testa sotto il tappeto in attesa che qualcun altro risolva la partita. Il presidente Trump lo ha detto a chiare lettere: gli Usa iniziano un lento e progressivo disimpegno dal Mediterraneo, quindi l'Ue agisca di conseguenza. E il caso turco rappresenta un ottimo banco di prova per capire se Bruxelles è decisa a maturare o meno.
Nel mezzo, le trivellazioni iniziate pochi giorni fa proprio da Eni e Total nei 7 blocchi della Zona economica esclusiva cipriota per la gestione (congiunta) della fase esplorativa alla ricerca del gas. L'italiana Eni è parte attiva di quegli “sviluppi significativi nella partita del gas nel Mediterraneo orientale” così come definiti dal ministro dell'Energia di Cipro, Georgios Lakkotrypis. Il presidente cipriota Nikos Anastasiades ha dichiarato che le operazioni continueranno nonostante le obiezioni di Ankara. “I nostri piani energetici non sono cambiati”.
Gas, geopolitica e quindi migranti. Non è un mistero che l'intensificarsi del caos libico è anche figlio dello sciagurato accordo concluso con Erdogan proprio dall'Ue, senza aver saputo leggere in filigrana sulle conseguenze a pioggia di quelle firme. E così mentre il Presidente Juncker riceve a Salonicco la laurea honoris, causa nonostante abbia avallato tutti i diktat di Schaeuble sul disastro greco, ancora una volta l'Ue fa mostra di non saper interpretare i grandi movimenti tellurici che si svolgono nella pangea mediterranea.
Se da un lato il caso libico può essere affrontato (e verosimilmente risolto) cercando un accordo non solo con Serraj e Haftar, ma con tutte le tribù anche in chiave commerciale, è a oriente che Roma dovrebbe fare di più. Lì, dove un colosso come l'Eni deve essere meglio protetto, perché impegnato in un'avventura significativa per il futuro energetico del Paese che non ammette sbavature o cambi in corsa. In questo l'Italia non ha ancora quella mentalità “open” imprescindibile per gestire gli eventi e volgerli a proprio favore.
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