Che cosa insegna la marcia dei gilet gialli in Francia?


Il vuoto dopo urne e scelte: ed ecco tornare prepotente la piazza come elemento di polis e policies


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
26/11/2018 alle ore 08:40

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C'è un'icona che, osservando la marcia dei gilet gialli che hanno affollato i Campi Elisi a Parigi, giunge fino alle rive del Mediterraneo: ovvero la voglia dei cittadini di farsi nuovamente attivi, di bypassare il solito dogma sulla rappresentatività (e solo quella) data dal potere di voto nelle urne. E soprattutto il ritorno della piazza come elemento di polis e policies.

L'agorà come nuovo-vecchio modo di far sentire la propria voce, nella consapevolezza che si può anche aver sbagliato a votare, ma poi i conti si fanno non sulle promesse ma sui fatti prodotti da quel governo.

Parigi come Atene: in campagna elettorale si promette un programma ma poi si vira verso altri lidi. I primi giorni del governo Macron erano stati caratterizzati da una grancassa di commenti e pollici in su: in molti avevano creduto ad una nuova possibile rinascita europea sulla strada delle buone cose da realizzare. Con il trascorrere dei mesi però qualcosa, anzi più di qualcosa, è cambiato.

Parigi ha iniziato a gareggiare con Roma su Libia e affari, ha tentato di instaurare un rapporto con gli Emirati del principe MBS (finanche con una cena solitaria nei saloni del Louvre), ha ammiccato ripetutamente a Donald Trump, ha ricordato al mondo il ponte con la Germania di Angela Merkel (che sta andando in pensione).

Ma di fatto ha scontentato cittadini e imprese, ha mostrato di non avere per nulla in mano lo scettro del proprio Paese, ha infilato una serie di gaffes evitabili, ha mostrato al mondo parecchi limiti anche caratteriali.

Il nodo, quindi, al di là del merito delle scelte su cui si può discutere senza per questo impiccarsi sull'altare della partigianeria partitica, verte sulla discrasia tra potere ed elettori.

Parigi vale Atene perché non riescono più a parlare con i propri cittadini, non stendono quel famoso ponte di collegamento tra regole, infrastrutture e vita reale che tocca il quotidiano.

Non è solo l'Europa a franare sotto i colpi di approcci sbagliati su mille temi dirimenti come globalizzazione, ICT, dossier energetico e novo welfare: ma le singole scuole politiche che sono scomparse, fagocitate dalle cosiddette “fabbriche di leader”, da una mediocre classe dirigente che è sempre più autoreferenziale e non si forma a dovere, da modelli falsi e ingannevoli e che si parlano addosso perché orientati sull'apparenza e non sulla sostanza.

E i frutti sono sotto gli occhi di tutti. Ma con un'appendice: il silenzio delle elites, il vuoto della cosiddetta borghesia illuminata, i tentennamenti di chi quando la burrasca imperversa prende il comando del ponte e guida la nave fuori dalla tempesta.

No, un nuovo De Gaulle non c'è proprio.

 

 

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