La festa mondiale della pasta e due-tre cose che dovremmo fare (e dire)


Non è da pericolosi latifondisti pensare a business, pil e investimenti: ma è solo la fisiologica azione di chi deve amministrare


di Francesco De Palo
Categoria: ABRUZZO
25/10/2018 alle ore 15:05

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Il world pasta day celebra l'Italia e il made in Italy, due “cose” fantastiche che tutto il mondo ci invidia. Ma che non sfruttiamo ancora a dovere, altrimenti avremmo ben altri numeri a quelle voci.

Il motivo? Passa anche da un certo bacchettonismo culturale che fa male a chi, poi, ogni giorno deve tirare su la saracinesca della propria attività.

Che cosa si fa quando si ha in mano una carta che nessun altro ha? La si sfrutta a dovere. E come? Con politiche mirate, lungimiranti, costruttive. Poi anche inclusive e armoniche.

No, non è una lezione di speach marketing questa, ma solo una riflessione, a metà strada tra analisi e auspici, che potrebbe essere utile a chi crede ancora che sia l'humus culturale a trainare azioni e braccia. E non il contrario.

Prima le policies, poi i politics.

Quando si legge che finalmente i produttori italiani che si fregiano del marchio made in Italy dovranno riportare sui pacchi di pasta da dove quel grano arriva, si deve essere soddisfatti. Troppi anni sono trascorsi con sulle nostre tavole trafile dalla provenienza non meglio specificata.

La partita del grano al glifosate, il disserbante che ad esempio in Canada è ammesso in misura superiore ai parametri europei, è ancora tutta da giocare.

E a nulla serve rifugiarsi dietro il protezionismo, il turbo capitalismo o la decrescita: attenzione, sono titoli buoni solo per il talk show televisivi. Qui diciamo un'altra cosa.

Serve come l'aria:

implementare il ruolo dell'Istituto del Commercio Estero, delle Camere di Commercio Italia nel Mondo in tandem con le esigenze dei paesi obiettivo;

impedire i mille casi che affollano i cinque continenti di pasta farlocca o “spagetti” prodotti, senza quid, lontano anni luce dallo Stivale;

produrre un sistema di formazione-dialogo con le imprese che ci faccia creare le università della pasta nel mondo, così da insegnare una materia (e che materia), come olandesi e inglesi hanno fatto nelle colonie con altri prodotti.

In pratica serve che Roma faccia davvero rete, senza primi della classe o amici degli amici. E marci compatta (e con un motore culturale) verso un settore dove, per una volta, siamo i primi al mondo.

 

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