Art. 1, Legge 5 gennaio 1953, n. 4. No, non preoccupatevi, non sto dando i numeri. O, almeno, non ancora.
La legge e l'articolo che vi ho appena citati riguardano l'obbligo per il datore di lavoro di consegnare al dipendente un prospetto contenente l’indicazione di tute le voci costituenti la retribuzione. Nel prospetto viene anche regolamentato il rapporto con lo Stato attraverso le imposte e gli enti di previdenza sociale.
Generalmente, attraverso la consegna della cosiddetta “busta paga”, il lavoratore può effettuare un accurato e preciso controllo, anzitutto, circa la corrispondenza tra la somma in concreto erogata e quella prevista dal Contratto Collettivo di riferimento.
Anzi, tale controllo è assolutamente auspicabile poiché il nostro codice civile stabilisce termini perentori per agire nei confronti del proprio datore di lavoro qualora dovessero rilevarsi dei dati o valori “sospetti”.
Ad esempio: il lavoratore può esercitare il diritto non riconosciutogli di aumento di qualifica o di versamento dei contributi entro 10 anni. Per i contributi non versati, il termine per chiederne il pagamento è di 10 anni, ma la richiesta di vedersi accreditati presso la cassa previdenziale i contributi mancanti scade in 5 anni. Anche lo stipendio non pagato o il TFR non concesso si prescrivono in 5 anni.
Da ultimo vi segnalo che attraverso una recentissima ordinanza (per chi fosse interessato: la n. 21699 del 2018) la Corte di Cassazione ha stabilito che la sottoscrizione da parte del lavoratore delle buste paga con la modalità “per ricevuta” prova solamente la loro avvenuta consegna, ma non l’effettivo pagamento.
Ciò vuol dire che l’effettiva prova del pagamento è posta a carico del datore di lavoro, non essendoci una presunzione assoluta di corrispondenza tra quanto risulta dalla busta paga e l’effettiva retribuzione percepita dal dipendente.
Come si dice? Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.
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