Che succede se in una famiglia ognuno si procura del cibo per se stesso mentre, a parole, annuncia che serve farlo assieme? Che il concetto retorico tanto divulgato di unione e squadra inizia a sgretolarsi sotto i colpi della realtà. In Libia l'Europa è andata in ordine sparso, dal 2010 ad oggi. Il blitz francese del 2011, di cui l'Italia ebbe solo una sparuta notizia a bombe già sganciate, è stato come una azzardata mossa del cavallo in una partita a scacchi, ma senza avere chiara in mente una strategia per il nanosecondo successivo: i frutti di quel caos sono stati sotto gli occhi di tutti in questi sei anni.
Cosa può cambiare nel quadro unitario, ma prima di tutto italiano, se attorno alla matassa libica si intrecciano quella dei migranti e dei possibili nuovi business per le nostre imprese? In primis serve uno scatto di reni da parte di Roma, per non essere cannibalizzati da Parigi e Londra. Da mesi ormai le forze speciali inglesi e francesi sono presenti nel Paese per tutelare, legittimamente, i propri interessi. Il punto è cosa resterà all'Italia: se solo briciole e accoglienza in solitaria, o se una nuova chiave per aprire la cassaforte libica.
In verità un pertugio si sta aprendo grazie alla domanda di italianità che in Libia si fa pressante. In occasione del summit italo-libico di pochi giorni fa ad Agrigento il Vice Premier libico Ahmed Maetig ha designato il presidente di Libyan Wings, Wesam Almasri, quale capo della delegazione degli imprenditori libici. Si tratta di un imprenditore che si è formato in Inghilterra e che ha intuito, prima di altri, le potenzialità di un vettore fondamentale: l'aereo. Il rapporto fra Italia e Libia ecco che potrebbe registrare un deciso cambio di passo se un volo diretto da Roma e Milano per Tripoli fosse concretizzato, con la fase propedeutica rappresentata dal nodo relativo alla chiusura dello spazio aereo.
Un volo della Libyan Wings, anche se di Stato, è stato il primo ad atterrare dalla Libia all'aeroporto Fontanarossa di Catania proprio in occasione del forum italolibico promosso dalla Farnesina e a cui hanno preso parte più di cento soggetti imprenditoriali italiani. Significa che, al netto di segni e gesti, il canale di comunicazione tra le imprese italiane desiderose di tornare a lavorare lì e il tessuto libico che alla voce investimenti mostra un certo gradimento verso i colori bianco, rosso e e verde, è più solido della forza solitaria con cui Sarkozy decapitò Gheddafi.
Altra pillola di ottimismo risiede nel fatto che dopo mesi controversi e ricchi di dubbi più che di certezze, un consorzio italiano ha siglato a Tripoli un accordo con il governo per ricostruire l’aeroporto: realizzerà due terminal per voli nazionali e internazionali da 30mila metri quadrati da ultimare entro un anno e con un investimento di 80 milioni di euro.
Ha scritto Otto Lilienthal che inventare un aereo è nulla. Costruirne uno è qualcosa. Volare è tutto. E, è il caso di aggiungere, il modo migliore per creare link anziché muri.
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