La lettera: Ponte Morandi, che brutto spettacolo...


La responsabilità politica è degli italiani che dicono sempre di no all'innovazione e alle nuove infrastrutture e di quella classe dirigente che specula sulle paure



Categoria: ABRUZZO
12/09/2018 alle ore 09:58

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di Alberto Ghiraldo

Caro Direttore,

È stato un brutto spettacolo, già a pochi minuti dalla tragedia, mentre il conto dei morti e dei dispersi saliva vertiginosamente, con persone sotto le macerie e i soccorritori al lavoro, sentire un’indecorosa gara a chi si indigna e urla di più nella caccia al colpevole.

Questo spettacolo non ha riguardato solo politici e opinionisti, sempre sciacalli pronti a speculare sulle tragedie, ma anche molti italiani che dietro una tastiera o un touch screen si sono lanciati a caccia della pioggia di like inveendo e cercando qualcuno con cui prendersela: il paese di ....., le istituzioni, la politica, le autostrade, l’Europa, gli speculatori finanziari etc.

Però nel momento di una tragedia, per una comunità e un popolo culturalmente e civicamente maturo vi dovrebbe essere il cordoglio e poi, a mente fredda, la ricerca della verità, delle responsabilità e delle condanne.

Invece la zuffa e la ricerca di un capro espiatorio, come se ne sentissimo la necessità per metterci la coscienza a posto (vuoi mai che i colpevoli siamo proprio noi?) hanno prevalso, per poi magari tra un anno dimenticare gli errori e tralasciare di condannare i colpevoli.

Sarà la magistratura supportata da perizie tecniche a stabilire se è stata la mancanza di manutenzione, un errore progettuale, una negligenza nella realizzazione o un insieme di queste cause a portare al disastro, ma ci vorrà tempo. Quello che è certo, e che sta emergendo dalle prime indagini, è che la situazione problematica del ponte Morandi a Genova era nota a molti e da molto tempo. 

Già a inizio anni novanta furono rinforzati gli stralli in cemento della prima campata con dei tiranti in acciaio per porre una toppa a un progetto non fortunato dove gli effetti dell’erosione e della deformazione plastica non erano stati considerati correttamente, come evidenziato anche dallo stesso Morandi. Inoltre, come sappiamo lavori di manutenzione erano in corso e a inizio del prossimo ottobre era previsto il rinforzo anche dei rimanenti stralli.

Ma non c’è stato il tempo e, visto che le problematiche erano note, quello che è mancato è stata una valutazione corretta del rischio e dell’imminenza di un cedimento strutturale, in ogni caso difficile da prevedere senza un sistema di monitoraggio che incredibilmente non era installato.

È mancato il coraggio di prendere l’unica decisione possibile per evitare la catastrofe, ovvero chiudere il ponte o limitarne il traffico. Chiudere il ponte non era certo una decisione facile, come vediamo ora, voleva dire tagliare Genova tra il ponente e il levante della città, bloccare l’accesso al porto e al terminal delle crociere proprio nel periodo estivo.

Quei politici che ora dicono che il ponte andava chiuso sarebbero stati in grado di avvallare o spiegare questa decisione prima del crollo? una scelta del genere sarebbe stata capita o la politica locale e nazionale avrebbe colto la palla al balzo per polemizzare in cerca di consenso?

In ogni caso la chiusura del ponte è una decisione di emergenza, che è risultata ancora più difficile da prendere per la criticità di quel nodo nella viabilità senza la presenza di un’arteria alternativa. Infatti, oltre al traffico urbano, non vanno dimenticate le merci da e per Ventimiglia, visto che il 93% dell’interscambio tra Italia e Francia è su gomma poiché l’unico traforo ferroviario (il San Gottardo) ha una pendenza tale da non consentire il passaggio dei convogli merci.

Inoltre, su strada non si è ancora riusciti a realizzare un’alternativa che evitasse quel ponte, nonostante il progetto della Gronda, ovvero di un tratto di autostrada, che come una grondaia faccia defluire il traffico attorno alla città. 

Il progetto come sappiamo è rimasto fermo decenni, bloccato dalla burocrazia e da una certa politica sempre pronta a speculare sul dire di no e sulla scarsa collettività civica dell’italiano medio, su il non a casa mia.

Quindi se diciamo no alla Gronda, un progetto nato per alleggerire il ponte, in seguito alle difficoltà progettuali riscontrate e nel frattempo sabotiamo ogni altra nuova infrastruttura che permetterebbe viabilità alternative (almeno per le merci), come la TAV, vuol dire che abbiamo creato le condizioni per la tragedia.

E così accanto a una causa immediata, l’errore umano, l’evento naturale, il cedimento strutturale o il progetto sbagliato bisogna comprendere che le responsabilità di questo crollo sono anche di una programmazione delle infrastrutture sbagliata o assente. Infatti, l’italia è stata costruita col cemento negli anni ’60, ma poi a partire dalla metà degli anni ’90 lasciata nell’incuria e nell’indifferenza a qualsiasi ammodernamento e ora vi è un disperato bisogno di nuovi interventi accuratamente progettati, anche solo per evitare altri disastri. 

La responsabilità tecnica e giuridica di questa tragedia verrà accertata dalla magistratura, ma la responsabilità politica è degli italiani che dicono sempre di no all’innovazione e alle nuove infrastrutture e di quella classe dirigente che specula sulle paure della gente.

Questa tragedia è figlia della scarsa cultura e del populismo. Chissà se impareremo la lezione.

 

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