Non c'è solo la stretta anti stranieri trumpiana a popolare le cronache legate alle politiche migratorie. Anche in Germania adesso si separano i nuclei familiari, semplicemente perché siamo prossimi al punto di collasso e urge una regolamentazione, seria e non ideologica.
Una 34enne nigeriana che si apprestava a raggiungere i suoi tre figli a Grevenbroich è stata arrestata dalla polizia della regione tedesca di Neuss e condotta nella prigione di Dinslaken. I suoi bambini sono stati presi in custodia dai servizi sociali in attesa di conoscere il futuro della madre, mentre il loro padre è stato rimandato in Italia.
Nessuno si sogna, adesso, di accusare la cancelliera Angela Merkel di rigurgiti razzisti: più realisticamente anche la Germania, spinta dalle pulsioni ultra retoriche legate all'accoglienza e con l'aggiunta della scadenza elettorale del 2017 (che per questo ha punito i popolari merkeliani), ha ora capito che la situazione rischia di collassare.
In pochi ricordano che alla base dell'accordo Ue-Ankara sull'immigrazione c'è la minaccia erdoganiana di riversare nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo i tre milioni di profughi siriani che ospita in Turchia. Una sorta di polizza-vita che Erdogan aveva stipulato con Bruxelles il 18 marzo del 2016 in cambio di tre miliardi di euro.
Dopo due anni molti organismi internazionali sostengono che il bilancio dell'accordo sia da considerare disastroso. Solo l'Ue la pensa diversamente: la Commissione festeggia perché gli arrivi sulle coste greche sono diminuiti, riducendosi a una media di 48 persone al giorno. Ma non considera che le isole greche orientali sono allo stremo, con 15mila profughi stipati tra Lesbos, Chios e Ko che invece potrebbero contenerne solo la metà.
Proprio nell'isola di Lesbos, che diede i natali all'omonima poetessa, si moltiplicano gli episodi legati alla difficilissima convivenza tra i migranti ospitati e i flussi turistici che rappresentano l'unica fonte di sostentamento (oltre alla pesca) per l'atollo che si trova due miglia dalle coste turche.
Nella spiaggia di Tsamakia Beach il sindaco aveva immaginato di controllare l'ingresso, per impedire che i migranti si mescolassero ai bagnanti stranieri. E non per una questione ideologica, ma oggettivamente di marketing. In caso di commistione infatti è probabile che molti turisti avrebbero scelto di andare via con un danno economico.
E invece è stato sotterrato dalle critiche di chi non ha compreso come l'accoglienza vada gestita davvero, preservando i diritti di chi è accolto e di chi accoglie.
E senza un grammo di quella viscida retorica che ha visto nella nostra Capalbio predicare bene e razzolare malissimo sul tema.