Lo davano per finito, sorpassato dalla Cina e dal versante indiano, oltre che da quello sudamericano in lenta evoluzione (al netto dell'attentato a Maduro). E invece il Mediterraneo 3.0 è più centrale che mai nello scacchiere mondiale.
Gasdotti, containers, petrolio, fibre ottiche e migranti. Sono solo alcuni dei dossier maggiormente significativi che fanno del mare nostrum ancora il centro del mondo, il punto G della politica dei cinque continenti.
Certo, rispetto alla fine della guerra fredda è cambiato tutto. E'cambiato “il letto del fiume”, ovvero quei paletti che definivano la cerchia di amici e di nemici che oggi sono dissolti nelle nuove frontiere commerciali.
E'cambiata la golden share con, anziché due super potenze a giocarsela a scacchi, tante piccole realtà che vanno ognuna per conto proprio senza una progettualità nel medio-lungo periodo.
Lo dimostra la vicenda legata ai gasdotti, dove non c'è collegialità ma rapporti one to one tra chi vende e chi compra; la politica legata alla difesa che ha permesso, ad esempio ad Ankara, membro Nato, di acquistare missili da Mosca e al contempo perseguitare i curdi che invece sono stati gli unici frangiflutti nei confronti dell'Isis in quella macro regione; lo dimostrano i mille incontri che i singoli stati che si affacciano sul Mediterraneo hanno fatto con la Cina di Xi che promuove la Via della Seta, a ulteriore prova che l'Ue non ha una voce sola ma ancora una moltitudine di anime, balcanizzate e mal dirette da Berlino e Parigi; lo dimostra la vicenda dell'accordo Ceta con il Canada o quello Mercosur che farà arrivare carne sudamericana a basso costo nel centro del Mediterraneo.
Insomma, se lo scacchiere cambia ma resta centrale nell'economia del globo, è la politica che sbaglia mosse e contromosse. Come se non avesse ancora compreso che il Mediterraneo è oggi il nuovo punto di incontro e scontro di mille interessi, il vertice di una nuova ma vecchia piramide che segna rotte e produce novità.
E'sufficiente vedere come è stato gestito il caso della Libia e della Siria. Nel primo, ancora oggi non si è certi che le elezioni di fine anno potranno davvero segnare una nuova fase dopo la decapitazione del regime di Gheddafi, a seguito del nulla di fatto degli inviati dell'Onu farlocchi (quello spagnolo Bernardino Leon è passato ad un gruppo bancario asiatico in un batter di ciglia).
Nel secondo, la Turchia mostra i muscoli che però rischiano di sgonfiarsi presto, perché alla fine della fiera Assad non è né indebolito né influenzabile (e Putin l'ha capito prima di tutti), mentre Erdogan continua a dimenarsi come quell'orso che si sente braccato da mille cacciatori.
Ecco il punto: l'elemento nuovo sta nella balcanizzazione del Mediterraneo, che dopo la fine del dupolio Usa-Urss non ha trovato una nuova identità, anche grazie alle mille deficienze dell'Ue. Una sorta di giungla dove ognuno recita il proprio spartito senza dare uno sguardo a chi sta di fianco.
Pericoloso, proprio perché in questo frangente gli interessi che vi convergono sono molti e appetibili.
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