E così, adesso Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti potranno cominciare a spuntare quell'elenco aggiornato, giorno dopo giorno, e poi sempre riposto nel cassetto: l'elenco con le centinaia di richieste di adesione che da ogni parte d'Italia sono arrivate alla Lega.
Il dubbio semmai (e a questo si lavora) è se farli confluire o se favorire la nascita di un nuovo contenitore. Ma la decisone di aprire c'è stata.
Un via libera che i due hanno deciso dopo aver riflettuto sull'inconcepibile niet berlusconiano a Marcello Foa presidente della Rai.
Dopo quel no che ha visto Fi votare in commissione vigilanza col Pd di Renzi e con Leu della Boldrini: un no figlio di ripicca e di paura.
Un no che lo stesso Silvio Berlusconi ad un certo punto, comprendendo più di altri i rischi, avrebbe pur voluto ritirare, ma che i suoi interessati "consiglieri" e i vertici di un partito alla frutta, senza più base e senza più idee, hanno invece deciso testardamente di opporre.
Errore capitale per i forzisti, tana libera tutti per i leghisti.
Perché appunto sono centinaia le richieste che Giorgetti ha messo in stand-by. Migliaia. Senza contare il nord, dove ormai c'è solo lo spadone di Alberto da Giussano e dove le amministrazioni perciò non possono temere alcuna insulsa ripicca, dall'Abruzzo alla Sicilia, passando per Campania e Puglia, bussano alle porte della nuova Lega nazionale tanti ex ed attuali amministratori e larga parte di quella classe dirigente locale che ha fatto le fortune del Cavaliere e di tutto il centrodestra che fu.
Donne ed uomini che avrebbero potuto già essere un valore aggiunto e che invece, stupidamente, sono stati accantonati o ignorati dai presuntuosi dirigenti forzisti. Gente quasi sempre o calata dall'alto o, peggio, sponsorizzata dal cagnetto dudu': roba che già da sola spiega il tracollo di Fi ormai ridotta ad uno sparuto fortino.
Una ridotta al cui interno c'è un gruppo dirigente arroccato, rancoroso e autoreferenziale ne' piu' ne' meno di quello piddino che si stringe a Renzi. Un insieme di casi personali che pensa a sopravvivere. Come il povero Antonio Tajani che coltiva la sola speranza di convincere Berlusconi a candidarsi alle prossime europee in tutta Italia: il Cavaliere rischierebbe la figuraccia nel confronto con Salvini, ma lui forse salverebbe il suo seggio a Strasburgo.
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