Rumore dei passi su un atrio assolato, il caldo e quel vento leggero dei pomeriggi di esordiente estate, il cielo azzurro chiazzato di nuvole bianche e mattoni. Tanti mattoni. Si aprono le porte e il mistico silenzio di un'abbazia mi accoglie e raccoglie in una silenziosa meditazione.
Sulle colline abruzzesi punteggiate di piante di ulivo, avvallamenti e morbide rotondità verdi ancora vivaci e colori di terra, con crinali di collina rigate dalle viti, ha sede l'azienda agricola Abbazia di Propezzano di Paolo Savini De Strasser, situata negli interni dell'Abbazia dedicata alla Madonna di Propezzano a Morro d'Oro (TE).
Le tracce di questa suggestiva costruzione paiono risalenti al IX sec d.C. Abitata dal 1285 da frati benedettini fu ampliata, consolidata e ne furono affrescate le pareti per raccontarne ai posteri le lontane origini.
Dal 2011 è attivo un progetto di recupero della struttura parzialmente di proprietà privata, che spesso è aperta ad eventi musicali e degustazioni. Attualmente l'azienda agricola che la abita è attiva anche nella produzione di olio e cereali, oltre che ovviamente nella produzione di vino, nei 20 ettari vitati dei vitigni più rappresentativi del territorio abruzzese.
Qui tra i tanti piacevoli incontri nel bicchiere, certamente sono stata colpita da Abbazia di Propezzano Colli Aprutini IGT Anfora 2016. Le uve sono 50% falanghina, il restante 50% in Passerina, Pecorino e Trebbiano. Il vino nel bicchiere è di un giallo paglierino deciso e molto prossimo al dorato.
I profumi che dal calice raggiungono il naso sono intensi e raccolgono un ampio bouquet di aromi erbacei che vanno dalla salvia, al rosmarino, passando per il timo e virando verso le ginestre. Trovo, assaggiandolo, una piacevolezza gentile al sorso. Il vino è equilibrato, la sapidità ben calibrata con le note più dure e minerali che si giovano di una buona alcolicità, ma è sorprendente quanto ancora siano vivaci gli aromi varietali, come se nel tempo ci sia stata un'evoluzione dell'espressione naturale delle uve.
Dovrebbe essere considerato un prodigio o forse un portentoso risultato, lo è certamente, ma va detto che l'artefice di tale “magia” è quel periodo di tempo, di almeno 7 mesi, che il vino trascorre nelle anfore di terracotta... ed allora forse sarà tutto più chiaro.
Si va affermando ormai da tempo, specialmente tra i cultori delle produzioni naturali, il ritorno alle anfore di terracotta. Sperimentate dapprima in special modo in Friuli Venezia Giulia, per i cosiddetti “orage-wine”, vini da uve a bacca bianca ma vinificati come dei rossi, quindi con una lunga permanenza sulle vinacce (idea di vino che non nego talvolta mi perplima e non poco), sta trovando ampio impiego altrove per i vini rossi, e in questo caso per i bianchi.
Si è compreso infatti che oltre ad un importante isolamento termico, i benefici, considerando la ridotta ossigenazione (ossia la lievissima parte di ossigeno che passa attraverso il legno durante l'affinamento in botte) sono molteplici, poiché poche sono le cessioni del materiale di affinamento al vino stesso nessuna evoluzione di tannini e/o spinte agli aromi terziari, condizione che non fa che amplificare le migliori caratteristiche varietali dei vitigni, insomma proprio quello che si trova in questa bottiglia.
Un'ultima particolarità di questo vino: nell'etichetta riporta un'antica mappa che disegnava appunto questo fertile fazzoletto di terra teramana, intersecata sull'orma quadrata con un cerchio centrale che richiama la forma del chiostro dell'Abbazia avente al centro il pozzo.
Quindi, che vogliate per devozione o curiosità, l'Abbazia di Propezzano è un gioiello abruzzese tutto da gustare, che merita come spesso accade il viaggio e certamente un bicchiere.