Insomma, ci provano. Sono convinti che basti sfoderare il miglior sorriso, senza cambiare niente, né segretari né quadri di partito, senza fare mea culpa, e il Pd sarà bello che pronto per il recupero e la sfida di primavera: perché ormai è certo che a votare si tornerà il prossimo anno (anche se non tutti, a cominciare da Silvio Paolucci, sono convinti che sia la scelta migliore: la coincidenza con le Europee non porterebbe bene ai democratici).
E tanto sono sicuri che venerdì scorso alla direzione regionale del Pd, la prima dopo la batosta del 4 marzo, hanno annunciato di avere pronto in tasca anche il nome del candidato governatore. Tanto che tutti, ma proprio tutti, hanno pensato si tratti del vice presidente del Csm Giovanni Legnini, in scadenza per il suo incarico a settembre: la dilatazione dei tempi, e la sicurezza ostentata dal Pd in occasione della direzione, lo lascia pensare.
Anche se, sondaggi alla mano, sembra piuttosto strano che Legnini possa accettare una sfida praticamente impossibile: bene che va, il Pd rischia di fare secondo, anche se al momento è dato per terzo, quindi il candidato governatore in quel caso non sarebbe eletto neppure consigliere, salvo modifiche dell’ultim’ora al regolamento elettorale.
Insomma, il candidato presidente ce l’hanno, i rianimatori del Pd in attesa del congresso sono stati indicati (Cialente e Paolucci, con la mission impossibile di andare a spiegare ai cittadini la bontà delle scelte sanitarie della Regione Abruzzo), il coordinamento che dovrà affiancare Rapino sarà nominato prestissimo, e anche la nuova parola d’ordine è approvata: pacificazione.
Durante la direzione, è stato proprio Dalfy ad autodefinirsi “il pacificatore”: e saranno stati proprio i nomi ai quali il Pd ha affidato l’operazione rilancio, e cioè quello di D’Alfonso, e poi di Paolucci e Cialente, a far capire ai militanti che il partito non ha realmente intenzione di cambiare nulla, nonostante la batosta elettorale, nonostante la lontananza dalla gente, nonostante le scelte sbagliate.
Legnini, dal canto suo, scioglierà la prognosi a fine settembre, quando sarà libero dal suo incarico al Csm. Nel frattempo il compito di ricucire con la base elettorale è stato affidato a Dalfy, scatenando sui social ironia e critiche violente. Da parte degli aquilani, prima di tutto.
Ai quali non è piaciuto per niente il termine “filiforme” affibbiato dal governatore al candidato sindaco dell’Aquila Americo Di Benedetto, e meno male che vorrebbe pacificare. Americo se n’è andato dal Pd senza manco sbattere la porta, ma dopo aver incassato ogni genere di colpo basso da parte degli ex colleghi di partito e non merita questo trattamento. Insomma, il Pd perde pezzi e con gli insulti non verrà a capo di nulla.
Dalfy è quindi costretto a battere in ritirata e Antonio Caroselli, della segreteria provinciale del Pd pescarese, si premura di spiegare che il presidente non voleva prendersela con Americo, ma quandomai.
“Semmai ha evidenziato come egli, con la sua condotta filiforme, rappresenti un punto di riferimento ed una risorsa importante per il mondo democratico aquilano”.
Insomma, per Caroselli “filiforme” rappresenta un apprezzamento positivo, e dice che il centrosinistra per ripartire
“ha bisogno dell’apporto di tutti, nella convinzione che si possano vincere le elezioni se una nuova classe dirigente regionale sarà in grado di individuare insieme i 100 bisogni che costituiscono l’agenda delle priorità per la nostra regione”.
E tanta la disperazione (del Pd) che si arriva anche a fare (parziale) autocritica: aggiunge Caroselli infatti che il presidente
“è consapevole che, per quanto i risultati di questo governo regionale siano senza precedenti, non siano sufficienti, nel tempo che viviamo di rabbia sociale e di consenso altamente volatile, a motivare un nuovo rapporto di fiducia con l’elettorato”.
Che insomma, con tutti i giri di parole, le concessioni, gli aggettivi, gli ammortizzatori, significa: ok, abbiamo fallito.
E per rassicurare l’elettorato, i militanti, tutti quelli che hanno girato la testa dall’altra parte, Caroselli aggiunge che Dalfy immagina per sé un ruolo di “suggeritore di problemi e animatore di dibattito”. E quindi, state tranquilli, altro non farà.
ps 1: se lo tengono, insomma, e lo fanno pure accomodare a capo tavola, e gli faranno pure dire la sua. Come si fa con gli anziani nonni. Niente di più.
ps 2: ma in ogni caso, quella del Pd che vuole cambiare non cambiando nulla, è proprio un’operazione disperata.
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