Sulla cima del colle che si erge tra i fiumi Arielli e Riopago è posato l’incantevole Castello Ducale di Crecchio, esempio di quell’evoluzione, tipicamente abruzzese, che vide questi edifici nati a scopo prettamente difensivo trasformarsi in eleganti complessi architettonici residenziali, spogliandosi di elementi d’impronta medievale come le merlature.
Le quattro possenti torri angolari delineano il perimetro del forte, creando un cortile quadrangolare che, su due lati, assume la forma di loggiato. Nelle sue forme attuali, questo affascinante complesso è l’esito di una serie di vicende storiche che ne hanno plasmato l’andamento costruttivo.
Difatti, il nucleo originario, di impronta medievale, è oggi visibile esclusivamente in quella torre nord orientale, squisitamente normanna e dal consistente spessore murario, detta “dell’Ulivo”, più grande delle altre e realizzata in pietra sbozzata, che da un primo livello anticamente destinato alla raccolta di viveri, si sviluppa in altri due piani ai quali è possibile accedere grazie a una ripida scala a chiocciola, pensata per le ronde di guardia.
Il circuito murario ed alcuni altri ambienti collocati all’interno, appartengono invece ad una fase realizzativa collocabile a partire dal 1400 e presentano fattura ed elementi tardogotici; sempre ai caratteri stilistici del XV secolo rimanda la Torre cosiddetta Aragonese, ricostruita nella sua facies originaria dopo il 1944, con tanto di merlature e beccatelli.
E’ alla famiglia dei De Riseis che sono invece imputabili altre trasformazioni, quelle che nel 1789 condussero all’ingentilimento della struttura, privata del camminamento merlato, coperto a tetto per ricavarne un secondo piano, nonché la realizzazione delle due Torri gemelle, a pianta quadrata e tetto spiovente e decorate da bifore a tutto sesto su ciascun lato.
Un castello, questo, ancor oggi vivo e vitale grazie all’istituzione, all’interno delle sue sale, del Museo Nazionale dell’Abruzzo Bizantino e Altomedievale. Un edificio, dunque, che è stato vigile testimone di una storia millenaria ed oggi continua a custodirla e narrarla: la storia del nostro Novecento, che lo vide celebre tappa della fuga da Roma del re Vittorio Emanuele II, della Regina e del principe Umberto nel settembre de ‘43, e poi terribilmente ferito dai bombardamenti tra la fine dello stesso anno e l’estate del ‘44, e poi la storia delle nostre remote origini, di quella specifica fase che vide il trapasso dall’assetto tardo antico della regione all’insediamento delle popolazioni di stirpe longobarda.
Lo fa attraverso i reperti esposti, eccezionali per singolarità, che documentano una fitta e proficua rete di scambi commerciali tra l’Abruzzo Bizantino e l’oriente, specialmente con l’Egitto, lo fa mediante quel possente profilo murario che si erge a sfidare la caducità della vita, lo esplica, infine, mediante i lineamenti cangianti di ogni trama muraria che, come solchi sul viso d’un anziano signore, segnano il tempo e ne certificano l’intenso vissuto.
Un altro angolo d’Abruzzo, Crecchio, tutto da scoprire, dotato anch’esso di un panorama mozzafiato, “dal quale castello si gode et vede tutta la marina el suo general tenimento”(Scipione Paternò, 1633), tappa fondamentale per la comprensione dell’intera nostra storia e, soprattutto, della nostra identità. Perchè, come scriveva Jacques Le Goff, tra i massimi studiosi della società occidentale nel Medioevo, quest’epoca “[…] è una combinazione tra ciò che è esotico e le nostre radici.
Se studiate il Medioevo avrete come l’impressione di fare un viaggio all’estero. Occorre non dimenticare che gli uomini e le donne di questo periodo sono i nostri antenati, che il Medioevo è stato un momento essenziale del nostro passato, e che quindi un viaggio nel Medioevo potrà darvi il duplice piacere di incontrare insieme l’altro e voi stessi”.
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