Dimenticanze… letali: un dramma che sembra non avere fine


I bambini dimenticati in auto e morti tragicamente per ipertermia, arresto cardiaco, asfissia. Intrappolati. Sotto il sole


di Bruna Silvidii
Categoria: Psiconauta
26/06/2018 alle ore 11:25

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E’ un dramma che sembra non avere fine. In venti anni, dal 1998, sono otto i tragici casi, in Italia, di bambini dimenticati in auto e morti tragicamente per ipertermia, arresto cardiaco, asfissia. Intrappolati. Sotto il sole. 

L’ultimo caso di cronaca risale al 18 maggio 2018 ed è accaduto a Pisa, dove un papà è andato a lavoro, ma ha dimenticato la sua bimba di un anno, in auto, nel parcheggio della sua Azienda. Se ne è reso conto soltanto ore dopo, quando la compagna, mamma della piccola, lo ha chiamato nel primo pomeriggio, poiché era andata a prenderla all’asilo nido e non l’ha trovata. A quel punto è scattato l’allarme che ha messo in moto i soccorsi giunti sul luogo troppo tardi.

Dimenticare il figlio in auto: come può succedere? Quali meccanismi entrano in gioco e quale lettura psicologica possiamo darne?

La nostra mente è solo parzialmente cosciente e volontaria, concentrata cioè sulla realtà esterna; mentre una parte rilevante di essa non è cosciente, pertanto alcune delle nostre azioni di routine sono, talvolta, affidate ad una sorta di “pilota automatico”. Se il nostro inconscio guidasse le nostre azioni, agiremmo in maniera molto diversa da quelli che sono i nostri normali comportamenti e prevarrebbero quegli istinti primordiali ed egoistici che derivano dal nostro Es, la parte dell’inconscio fonte e sede delle pulsioni.

Normalmente gli impulsi sono mediati dall’altra parte del nostro inconscio, il Super-Io, il quale determina le nostre azioni, in relazione alle norme che abbiamo interiorizzato: è la nostra coscienza morale e non ci permette di attuare in maniera diretta quello che l’Es ci spingerebbe a fare (Freud, 1922). In alcune situazioni, in particolare quelle maggiormente stressanti, la funzione di controllo del Super-Io e le funzioni di mediazione del nostro Io cosciente vengono meno e noi agiamo in modo direttamente determinato, dai nostri moti inconsci. Si parla, in tali casi, di “atti mancati” (Freud, 1901).

Nella società contemporanea, gli eccessivi impegni quotidiani e le notevoli pressioni sociali implicano, per ogni individuo, la presenza di un carico emotivo eccessivamente gravoso, al punto da poter compromettere il normale funzionamento cognitivo ed eventualmente, provocare uno squilibrio dell’apparato psichico, anche in persone non affette da patologie.

Siamo, infatti, nella società del “dover fare”, dell’efficientismo prestazionale, delle fasi del ciclo vitale, scandite cronologicamente da “copioni” che bisogna rispettare (studio, carriera, matrimonio, figli), e che spesso rischiano di limitare la libera espressione dei nostri più profondi ed autentici bisogni e desideri.

A volte, questo meccanismo conduce ad esiti tragici, del tutto involontari dal punto di vista cosciente, manifestandosi attraverso “agiti aggressivi”, che possono ricadere, purtroppo, anche sulle persone care.

Il tempo “dell’Essere” è stato sostituito e sopraffatto dal tempo “dell’Avere” e “del Fare” (Fromm, 1976).

La prevalenza della modalità esistenziale “dell’Avere” ha, così, determinato la situazione dell’uomo contemporaneo, manipolato nei gusti, nelle opinioni, nei sentimenti e costretto a vivere in un ambiente conflittuale e “castrante”, nel quale è venuto a mancare lo spazio del desiderio e della sua possibile espressione.

I genitori del nostro attuale contesto sociale, dovendo assolvere a molteplici compiti, hanno perso il piacere spontaneo e naturale del vivere le attività quotidiane, come, per esempio, accompagnare i propri figli all’asilo. Credo che la necessità attuale, per la collettività, sia quella di recuperare un’esistenza, incentrata sulla modalità “dell’Essere”, in quanto attività autenticamente produttiva e creativa, che è capace di offrire all’individuo ed alla società la possibilità di realizzare un nuovo e più autentico “umanesimo”.

Mi riferisco, in tal senso, alla riscoperta di quella “singolarità indistruttibile” (Julia Kristeva, 2011), tesa a condividere l’unicità dell’esperienza interiore, che in primis consente di combattere quella nuova “banalità del male”, rappresentata dall’automatizzazione dell’individuo, a cui stiamo assistendo in questi tempi moderni. E’ necessario rivalutare le relazioni umane, sul versante dell’empatia, del contatto e dell’autenticità, ribellandoci alle dinamiche dell’oblio e della dimenticanza, a cui ci conducono, specialmente, l’utilizzo dei media e dei mezzi virtuali.

La strada è molto chiara: rimettere l’uomo al centro. Nasce da qui il nuovo “umanesimo”: nuovo non perché va alla ricerca di novità ad ogni costo, ma perché è un ri-cominciare, riscoprendo che siamo persone in relazione ad altre persone. I moderni strumenti di comunicazione tendono, paradossalmente, ad avvicinare le persone lontane e ad allontanare quelle vicine.

Le relazioni sociali fatte anche solo di sguardi attenti alla realtà esterna, all’ambiente ed alle persone, si configurano come eventi, sempre più rari. In tal modo i lassi temporali, in cui il cervello si estranea dalla realtà, diventano sempre più lunghi, nell’arco della giornata. Le dimenticanze letali dei propri figli/e rappresentano il grido di allarme di una società che non è in grado di proteggere i minori, lasciando troppo soli anche i genitori, impegnati a correre, tutti protesi nel “fare” le cose, più cose possibili e nel più breve tempo possibile, dimenticando di essere genitori che non avevano il DOVERE, ma il PIACERE, di accompagnare il proprio piccolo all’asilo.

La dimenticanza di sé, della dimensione del proprio ESSERE, sia come individuo che come parte integrante di una dimensione di coppia, può condurre a sequenze robotizzate che possono trasformarsi in “AMNESIE FATALI”.

Pertanto, nella contemporanea società occidentale, imparare a prendersi cura di sé è l’antidoto migliore, per essere capaci di proteggere i nostri figli.

 

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