I mercati sì, i mercati no. La sovranità c'è, oppure è stata messa da parte. Le prerogative degli uni e quelle dell'altro. Nel mezzo, un Paese che ha votato (in un modo o nell'altro) e chi ogni mattina si fa in quattro per sollevare la serranda della propria attività, commerciale, industriale o intellettale che sia.
Ecco il campo di battaglia dello Stivale, con fronti aperti in tutti e quattro i punti cardinali, con i barbari che non hanno mai chiesto scusa per ciò che hanno prodotto dopo la crisi sistemica di Lehman del 2008 e di cui, ancora oggi, scontiamo ferite su cui il sale non manca mai (anche per colpe nostre).
Una miscela esplosiva, con da un lato una famiglia, quella del club Ue dove di falle ce ne sono a bizzeffe e dall'altro un Paese che non cresce, che non fa l'alta velocità, che ha paura di gasdotti e ponti, che non taglia il costo del lavoro, che non investe in ricerca e sviluppo, che quando assume qualcuno pensa solo a come lavorare di meno e salvaguardare le festività. Ecco la tragedia vera, di cui senza dubbio Euripide avrebbe scritto più di una decina di atti.
Il combinato disposto tra una squadra che non funziona come dovrebbe (come scritto in un libro anche dal ministro dell'economia Padoan) e un giocatore che non fa ancora bene il proprio mestiere, è detelerio.
I limiti dell'Ue sono palesi e celarli sarebbe intellettualmente disonesto: tre su tutti. Si è inseguita l'unità monetaria, prima che quella politica; si è elevata al cubo la cintura burocratica che è una zavorra oggettiva; si è scelta una classe dirigente che spesso non incide come dovrebbe (vedi dossier Siria, Libia, dazi e Asia).
Altrettanto evidenti sono i limiti biancorossieverdi: le Regioni sono il plastico motiplicatore del debito, grazie a partecipate e prebende, accorparle sarebbe un primo passo utile ma è impopolare; le lobbies ideologicamente conservatrici figlie di un '68 che ancora incide per larghi tratti sui freni a mani italici, impediscono sviluppo e progresso come l'alta velocità e come sarebbe una rete di trasporti ferroviari regionali seri (oggi siamo a livello da dopoguerra) e soprattutto di merci su rotaia, con il decongestionamento delle strade e il taglio di costi; la scarsa vocazione estera della politica italiana che investe tutto nel dibattito interno, mentre troppo spesso manda a Bruxelles i trombati alle regionali o alle politiche, il contrario di tedeschi e francesi che “formano” i futuri eurodirigenti.
Chi può provare il contrario è invitato serenamente a farlo.
Solo una sintesi, certo, ma che ci offre la possibilità, ognuno nel proprio fazzoletto di generali ed eserciti, di guardarsi allo specchio con piglio critico e trovare i difetti.
Evitare questa presa di coscienza, questa maturazione amara ma imprescindibile sarebbe ben più grave di accuse e minacce, tradimenti e calcoli elettorali. (fdp)
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