Il giorno dopo gli avvisi di garanzia per la strage di Rigopiano notificati a tre presidenti di Regione e agli assessori alla Protezione civile dal 2006 a oggi, gli avvocati del sindaco di Farindola depositano in procura un altro carico di accuse sul governatore Luciano D’Alfonso.
C’è di più, molto di più nella memoria depositata da Cristiana Valentini, Goffredo Tatozzi e Massimo Manieri: un atto di accusa ancora più netto, preciso, circostanziato quello che emerge dalla memoria depositata dopo l’interrogatorio di Claudio Ruffini, segretario particolare di Luciano D’Alfonso ai tempi della strage di Rigopiano.
E’ un’accusa doppia, tripla, quadrupla e il ritratto che ne emerge è grave, pesante: dalle intercettazioni e dalle parole di Ruffini, dicono gli avvocati, emerge con vivida chiarezza
“l’assoluta incompetenza tecnica e ignoranza delle leggi vigenti con cui il presidente della Regione ha gestito il caos dovuto all’immane nevicata”.
Il perché è presto detto: invece di occuparsi dell’emergenza, delle strade interrotte, dell’hotel seppellito dalla neve, D’Alfonso pensava a inviare a Roma la richiesta per lo stato di emergenza, con cui farsi bello in Abruzzo, sostengono i tre legali.
“Era al Presidente della Regione (e a nessun altro) che sarebbe spettato il coordinamento degli interventi delle Province e delle Prefetture interessate dall’emergenza, mentre lui invece chiedeva a Ruffini, che era sommerso di richieste da parte dei sindaci, di raccogliere informazioni per la successiva richiesta di stato di emergenza. Che, è bene ricordarlo, è uno strumento postumo, da istruire e inoltrare alle autorità competenti dopo la cessazione del rischio in atto per vite umane o cose”.
E quindi non c’era alcuna fretta, se non quella di fare ammuina.
Insomma, le responsabilità di D’Alfonso sono molto ma molto più gravi di quelle del prefetto o dello stesso Presidente della Provincia, sostengono gli avvocati di Lacchetta,
“perché per legge è il Presidente e non costoro a dover assumere la gestione dell’emergenza allorquando essa assume il carattere di emergenza sovra-provinciale”
Ma perché, in fin dei conti? Cosa ha fatto o non ha fatto di tanto grave D’Alfonso?
Ecco cosa dicono gli avvocati:
1)convocava il Core con due giorni di ritardo;
2) lo convocava in luogo diverso da quello dovuto per legge, nonostante avvisato tempestivamente dal dirigente Giovani e da Ruffini in merito ai seri problemi che ciò avrebbe cagionato;
3) così facendo ometteva completamente di coordinare l’attività della Provincia e della Prefettura nell’emergenza mancando ogni informazione necessaria per monitorare l’emergenza e impostare la priorità degli interventi con mezzi che pur non esistevano;
4) solo il giorno 17 gennaio si attivava per la ricerca di turbine e lo faceva all’uopo delegando una persona priva delle necessarie competenze come Ruffini;
5) addirittura il giorno 17 gennaio si allontanava dall’Abruzzo, recandosi a Roma per un impegno che nulla aveva a che vedere con la tragedia in corso e lasciando da solo il citato Ruffini, per di più sovraccaricato del compito ulteriore di iniziare l’istruttoria per la pratica di richiesta dello Stato di Emergenza.
Sono impietosi gli avvocati:
“Questa plateale ignoranza dei suoi compiti e dei suoi doveri di coordinamento ha fatto sì che l’emergenza/neve fosse gestita come risulta in atti, ossia in modo completamente caotico e privo di qualsivoglia direttiva razionale, in una complessiva situazione di completa impreparazione tecnica e mancanza di uomini e mezzi, di tal ché già il giorno 17 gennaio innumerevoli strade erano ingombre e i comuni ormai isolati e gli occupanti dell’Hotel Rigopiano impossibilitati ad abbandonare la zona”.
ps: nei prossimi giorni è prevista una nuova tornata di interrogatori.
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