Il punto non è se ci piace o meno la musica, il rock o il pop, il jazz o il clarinetto. Il nodo è un altro e riguarda le policies e, quindi i politcs.
Sul primo maggio va cassata la solita retorica del più lavoro per tutti, perché in fin dei conti non è serio ma specchio di un paese di pulcinella (e solo di quello). Il lavoro è un diritto o un dovere? Al di là del dibattito tutto ideologico che ciascuno in cuor suo può fare, sono le buone policies a risultare vincenti o perdenti, non le note di quello o quell'altro che spesso per farsi belli vanno a cantare sui palchi del 1 maggio e poi magari non mettono in regola neanche i componenti della propria band.
Se la politica anziché farsi venire una brillante idea per favorire l'occupazione si trastulla con nomine, promesse, prebende, stanze chiuse e no aprioristici, allora significa che non è in grado di fare ciò per cui è nata. E va sostituita, così come in queste ore ad esempio è stato fatto in Friuli. Le elezioni, almeno fino ad oggi, servono anche a questo. L'alternanza non è un dogma onirico, frutto di contaminazioni o manine esterne: troppo comodo per i perdenti pensarlo.
E'la reale esplicazione del diritto di scelta di un cittadino che si fa attivo e che si è rotto le scatole dei tagli di nastro, nelle balle su sviluppo e infrastrutture, e quando poi vede cose strane, tipo segretari tuttofare assunti magicamente, cerchi magici che fanno carriera senza curricula o bamboccioni che non sanno un fico secco e pretendono di fare i super dirigenti alla Fantozzi maniera, beh in quell'istante il cittadino s'inalbera.
E chiede ai politcs di cogitare altre policies.
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