A Pamela… La ritualità ancestrale di un sacrificio umano


Il mito della Dea Smembrata, rappresentò, in modo simbolico, la decadenza del potere femminile ed il passaggio ai conseguenti cambiamenti


di Bruna Silvidii
Categoria: Psiconauta
27/04/2018 alle ore 10:49

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In diverse culture antiche, la donna deteneva il potere " socio-spirituale". La dea della Terra, veniva venerata, come Madre di tutti gli esseri viventi e la vita si orientava in relazione ai Cicli Naturali. Si viveva in una dimensione di Pace e di rispetto della Natura. Con il sopraggiungere delle culture patriarcali, cominciarono guerre, genocidi e si sparsero morte e terrore.
 
Il mito della Dea Smembrata, rappresentò, in modo simbolico, la decadenza del potere femminile ed il passaggio rituale, ai conseguenti cambiamenti socio-culturali.
La leggenda indiana, per la quale il Re Mitra uccise e smembrò in pezzi il corpo della consorte, spargendoli nella campagna circostante, rappresentò, il gesto simbolico che sanciva la trasformazione, da una società centrata sul potere matriarcale, ad una cultura di tipo prettamente patriarcale.
 
A tali riti e miti arcaici, il mio pensiero si orienta, nella riflessione sull'efferato omicidio di Pamela Mastropietro, la giovane romana di diciannove anni, uccisa e fatta a pezzi, a Macerata, il 30 gennaio scorso.
 
Le recenti ed inquietanti intercettazioni, in carcere, dei nigeriani accusati del suo omicidio, riportate dal Giudice, sono le seguenti: "Oseghale avrebbe dovuto far sparire il cadavere, tagliandone una parte a pezzettini da gettare nel gabinetto, e mangiando nel tempo il restante, dopo averlo congelato".
 
Mi chiedo quale significato latente esprimano, dal punto di vista socio-culturale, tali affermazioni, oltre a quanto già insito, nella violenta frammentazione del corpo di una donna, come equivalente simbolico del Femminile. Diceva Renè Girard, illustre antropologo francese: " E' criminale uccidere la vittima perché essa è sacra... ma la vittima non sarebbe sacra se non la si uccidesse".
Questo paralizzante circolo vizioso si incontra subito, quando si esamina la realtà del sacrificio. Se viviamo in una società, in cui convivono culture diverse, con valori propri, ai quali nessuno è disposto a rinunciare, al punto da non differenziarsi in modo adeguato, anzi al punto da non differenziarsi affatto, si possono sviluppare rivalità  profonde e conflitti,  per l'appropriazione di oggetti, valori, ideologie, identità.
 
La minaccia all'orizzonte è quella della violenza generalizzata, poiché la stessa è imitativa e può produrre un processo a catena. L'elemento conteso, in tal senso, si riduce d'importanza ed il conflitto "mimetico", rischia di trasformarsi in odio di massa. Quando la violenza non può sfogarsi sul nemico che l'ha stimolata, si sposta su una vittima sostitutiva, distruggendola.
 
L'espulsione e/o l'uccisione della vittima, ha sul gruppo un enorme valore catartico, sul piano delle emozioni. Contemporaneamente, la vittima diviene, l'origine della crisi e la responsabile della pace ritrovata. Diviene "sacra", assumendo potere di vita e di morte, sul gruppo. La violenza del rito sacrificale, acquisisce pertanto, un potere salvifico, poiché consente la riconciliazione del gruppo, dinanzi al "capro espiatorio" che custodisce in sé i valori religiosi, culturali, sociali del gruppo medesimo.
 
In tal senso la “violenza” ed il “sacro” coincidono, poiché nel sacrificio della vittima immolata, ognuno riconosce il proprio credo, e l'affermazione dei propri valori identitari, contro chi cerca di disconfermarli. Tutto l'odio di chi si sente rifiutato, non accolto e non "integrato", in un determinato contesto socio-culturale, si trasferisce simbolicamente, sulla vittima prescelta.
 
Il corpo smembrato, della povera Pamela, incarna probabilmente, la crisi identitaria di alcune etnie, rispetto ad un sistema di valori socio-culturali, dal quale, le medesime si sentono lontane e rispetto al quale, non riescono a trovare alcuna possibile forma di integrazione.
 
La scelta vincente, l'alternativa alla competizione tesa al riconoscimento, può, pertanto, essere soltanto il "silenzio"; la rinuncia alla competizione, attraverso la quale, solo nel silenzio, ci si avvicina alla divinità.
 
Soltanto attraverso il recupero del "sacro", inteso come spazio religioso e/o creativo, in cui ogni desiderio diviene "desiderio d'essere", può emergere la speranza di una possibile condivisione.
 
 
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