Se ne sono date di santa ragione. A distanza, sulle rispettive bacheche di Facebook un botta e risposta che se fossero stati a distanza ravvicinata, si sarebbe tradotta in botte punto e basta, visto che uno dei protagonisti è un rugbista che un placcaggio al collo di questa fatta non se lo sarebbe preso e basta.
Comincia lui alle otto di mattina di sabato, Camillo D’Alessandro, consigliere regionale ormai deputato che non ce la fa a schiodarsi dall’Abruzzo e soprattutto dai Trasporti, settore che ha curato fino a ieri nella buona e nella cattiva sorte e nel quale continua a intignare come se non ci fosse un domani.
Accusa Pietrucci di tenere in ostaggio la Regione, di non fare gli interessi dell’Aquila e degli aquilani o degli utenti, “ma semplicemente di un gruppo ristretto di pressione, interessi piccolo politici e sindacali, di un sindacato, non di tutti i lavoratori”.
In pratica, il Camillo deputato rimprovera al consigliere regionale aquilano e anche al vicepresidente Giovanni Lolli (al quale però conigliescamente non dedica manco un rigo, Lolli è Lolli e se gli saltano i nervi in questo momento saltano anche i piani di allungamento sine die della legislatura di Dalfy & C.) di non voler approvare “la delibera di affidamento in house dei servizi a Tua”.
E’ una lettera pesante, c’è un tono arrogante, da maestrino, un dito puntato, una messa in mora pubblica che fatta a un collega di maggioranza risulta ancora più pesante. E basti pensare che solo qualche giorno fa l’assessore Silvio Paolucci aveva rampognato pesantemente la collega Marinella Sclocco (di Articolo uno, anche se in maggioranza) di aver preferito spiattellare le sue critiche a Dalfy su Facebook invece di lavare i panni sporchi in famiglia.
Regola evidentemente che non vale per il fido Camillo, che affonda ancora di più il coltello: “Il punto di vista aquilano non è il centro del mondo, anche perché in questo caso ti stanno tirando contro l’interesse vero degli aquilani, cioè gli utenti, ai quali racconterò che così non vuoi abbassare le tariffe se tutto resta tpl , che non vuoi levare autobus che portano in media 2,5 persone per qualche amico degli amici, che tra una corsa ed un’altra a volte c’è uno spazio di mezz’ora e forse potrebbe partire una corsa piena piuttosto che due mezze vuote spostando di qualche minuto, in avanti o indietro, la partenza. Non tagliamo a L’Aquila, riorganizziamo, sono innanzitutto gli utenti a volerlo”.
Ed ecco che il Camillo deputato sale in cattedra: “Io ti voglio bene, ti stimo, ma credo di potermi permettere, anzi ne avverto il dovere, di dirti che i processi si governano, altrimenti ne vieni governato. In politica può accadere , ma quando sono in campo gli interessi pubblici di tutti, questo proprio non può esistere”.
Un pat pat condito da accuse di “localismo ottuso” o del “gruppetto gruppettaro” che si conclude con un abbraccio. Un abbraccio? Manco per niente. A stretto giro arriva la risposta di Pietrucci. Una risposta secca, dura, che non fa sconti. Una lezione di vita, e di politica. La sua colpa? Quella di aver assunto l’impegno a non portare in discussione nella seconda commissione da lui presieduta, la delibera che prevede i tagli delle corse dell’Abruzzo interno, non prima “di averla discussa in un tavolo di confronto con la Cgil, con i lavoratori e con i pendolari”, scrive dopo aver partecipato all’assemblea della Filt Cgil sul trasporto pubblico, in cui lavoratori e pendolari si sono mobilitati per la difesa delle corse L’Aquila-Roma e Avezzano-Roma.
Il punto è proprio questo: le riforme la Regione le fa con due sole sigle sindacali, tenendo sistematicamente fuori il sindacato più scomodo, e anche il più rappresentativo.
Altro che localismo ottuso: “Ciò che temo tu non conosca, o almeno non percepisca – risponde Pietrucci a D’Alessandro – è l’enorme questione di cui sono vittime le aree interne di questa regione, dell’Abruzzo. Aree interne che, bada bene, sono più di mezzo Abruzzo, non una parte insignificante, quelle aree interne che soffrono gli svantaggi dovuti al deficit di collegamenti, al clima più aspro e che, in aggiunta, spesso, hanno dovuto affrontare la devastazione dei terremoti”.
Pietrucci vuole il confronto, magari correggendo la norma, integrandola, perché “la partecipazione, la discussione fanno parte di una responsabilità di peso a cui non ci si può sottrarre”.
Non vorrei che quanto accaduto il 4 marzo venisse considerato da noi, da una parte di noi, come un incidente un po’ più grave del solito su un cammino tutto sommato tranquillo, tutto sommato comodo, tutto sommato prevedibile nella consueta manifestazione della monotonia della politica, si svolga essa in Parlamento, in Consiglio regionale o nei Consigli comunali.
Che sia stato un po’ come bucare una gomma, una scocciatura, niente di più: non vorrei Camilloche ci ostinassimo a non imparare, che perseverassimo nella ideologia dell’efficienza e nell’insegnamento del buon governo, e continuassimo a scordarci che la buona politica è la buona amministrazione, ma anche la capacità di ascoltare la gente”.
Ascoltare la gente, dice Pietrucci.
“E la sinistra, il centrosinistra, non è niente senza l’umiltà di coltivare il dubbio per fare meglio e stare con chi più ha bisogno. È vero, esiste il rischio del populismo: ma si risolve forse calando dall’alto ogni cosa?”
ps: Consigliere Pietrucci, è una partita persa.
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