“Amo talmente tanto la Germania che ne preferivo due” disse il pluripremier italiano Giulio Andreotti in occasione della riunificazione. Parole che oggi, un attimo dopo la scomparsa dell'87enne Helmut Kohl, meritano una riflessione il quanto più possibile analitica e non ideologica.
Il leader della Cdu, in carica dal 1982 al 1998, appose la sua personale firma sulla caduta del Muro di Berlino e sull'unità con la Ddr. Ma se sul primo passaggio il mondo intero plaudì, in coro, al crollo che, come una slavina, portò a valle anche tutti i cocci (e i danni) del regime comunista, sul secondo i primi a storcere la bocca furono due giganti, come Margaret Thatcher e Michail Gorbaciov. Seguiti a ruota da chi, forse grazie all'esperienza o al semplice intuito, valutava come un pericolo (nel medio-lungo periodo) una così alta concentrazione di poteri ed interessi.
Il tennista iper medagliato Boris Becker, (capace di portare a casa 49 titoli nel singolare, di cui 6 nel grande slam e 15 nel doppio) disse una volta che “in ogni tedesco c’è il bisogno di dimostrarsi il migliore, ma io non posso vincere per soddisfare questa mentalità malata”. Una battuta, certo, ma con un fondo di realismo. Sarebbe sciocco e perché no, anche provinciale, mettere in discussione un peso specifico oggettivo, come le innegabili capacità tedesche di fare business, di primeggiare in svariati settori come le armi, i sottomarini, le auto, i trapani (anche nel surplus commerciale). Ma altrettanto sciocco, perché come un albero senza rami, sarebbe voler sorvolare sulle dinamiche europee che da quell'unificazione sono derivate.
Una costruzione deficitaria produce un palazzo con fondamenta deboli, esposto ai movimenti tellurici e quindi destinato a durare poco nel tempo. Quell'eurocostrutto immaginato negli anni '60 e realizzato trent'anni dopo, senza voler inchiodare i responsabili per carità, ma solo per amore di cronaca, ha fruttato le mille contraddizioni che nell'Unione Europea di oggi convivono. Dove un solo soggetto ha le chiavi di casa e tutti gli altri si scannano per uno strapuntino, anche per proprie deficienze (si veda la posizione dell'Italia di eterno fanalino di coda nelle classifiche Ue). Certo, oggi siamo confortati dalle stime di crescita del Fondo Monetario Internazionale, dai livelli di disoccupazione scesi in media quasi ai tempi pre crisi, ma si tratta di macro dati distanti anni luce dalla quotidianità di cittadini e imprese.
I difetti dell'Ue di oggi sono, su larga scala, spesso quelli che imputiamo all'Italia: iper burocrazia, nanismo decisionale su Libia, Siria e Isis, cecità di fronte alle grandi occasioni geopolitiche come la Via della Seta o l'infrastrutturazione dei Corridoi transeuropei (finiti in chissà quale cassetto), impotenza allo stato puro e dilettantismo come dimostra la contingenza di Londra: se fossero accaduti in Italia tre attentati consecutivi e un incendio in una torre prodotto dalla mancata manutenzione (del costo di soli seimila euro) chissà cosa avrebbero scritto la Welt o il Telegraph, sempre pronti a denigrare i paesi dell'euromediterraneo.
E allora quella unificazione, decisa e unidirezionale delle due Germanie, cozza con altre due della storia continentale: quella italiana, con la devastazione sabauda delle ricchezze e delle tecnologie presenti nel Regno delle Due Sicilie, dove tanto per dirne una, era stata costruita la prima ferrovia italiana (Napoli-Portici) e dove era stato scritto il primo atlante nautico al mondo; e quella europea, dove per i desiderata di uno, si è imposta una marcia che nessun altro riesce a reggere, compresa quella Grecia schiacciata da creditori strozzini che le hanno tolto, come moderni usurai, tutti i gioielli di famiglia. Privatizzati guarda un po', da chi oggi piange il Cancelliere che volle l'Ue.
twitter@FDepalo