Migranti e Ue: perché Bruxelles sbaglia ancora (policies e politcs)


Lesbos: dalla retorica della visita del Papa allo status da bidonville che regna sotto lo scacco di Erdogan


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
06/04/2018 alle ore 09:57

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Dalla retorica della visita del Papa allo status da bidonville che regna sotto lo scacco di Erdogan. L'hotspot ellenico di Moria, nell'isola che diede i natali alla poetessa Saffo, Lesbos, è una polveriera che esplode ogni notte: vi sono ospitate 5500 persone, ma la capienza è di 2000.

Incendi, rivendicazioni, sommosse, risse, spaccio e criminalità organizzata sono la cornice, con il silenzio della politica ma con l'ansia degli isolani, che non hanno altro introito se non il turismo che proprio in questi giorni di Pasqua sperano si rianimi, complici i 25 gradi che ci sono in Grecia.

Il mercato nero è ormai padrone di alcuni hotspot, con soldi Ue che sono stati stanziati in abbondanza ad Atene (gli ultimi sono 180 milioni) ma poi il cibo scarseggia, i bimbi dormono nelle casse di frutta, le tende sono bucate e la prostituzione regna sovrana. Ad Atene in piazza Vittoria i minori vengono fatti prostituire per 5 euro nel silenzio di ong e organismi internazionali sempre attenti ai diritti degli animali o dei transgender.

Molti provengono dalle zone di guerra in Siria, Iraq e Afghanistan ma dopo 2 anni dall'accordo Ue-Turchia Lesbos rischia di diventare nuovo cuscinetto se non un lazzaretto: 4 milioni di profughi sono tenuti a bada da Erdogan in terra turca, ma fonti militari sostengono che Ankara in qualsiasi momento può allentare la cinghia e “favorire” nuovi sbarchi.

Il silenzio sul caso migranti e su come ci si prepari a nuovi arrivi è termometro della politica Ue, che da un lato insiste con la Turchia nel cercare una quadra ma dall'altro si mostra afona soprattutto con lady Pesc quanto a programmazione e strategia.

Sperare che bastino 3 miliardi di euro a Erdogan per non “liberare” i migranti detenuti nel paese è come mettere un lupo a guardia di un pollaio. E'chiaro che a questo punto, dopo che sono trascorsi tre anni dalle immagini del campo di Idomeni, il ragionamento da fare è in primis di separare le nazionalità dei migranti.

I siriani rappresentano un caso a sé: fuggono dalla guerra, molte sono famiglie benestanti che avevano un lavoro ed una posizione e mai si sarebbro sognati di lasciare le proprie case e la propria terra. Diverso è il discorso per i migranti provenienti dall'Africa che sembrano aver avuto aperta un'autostrada che li ha condotti in Libia o in Grecia, e quindi in Italia.

Circola con insistenza la tesi che i nuovi potenti che stanno sfruttando il sottosuolo africano, dove abbonda il litio da cui si realizzano le batterie per i telefoni cellulari, vedano con favore un progressivo svuotamento di città e pianure. E'solo una voce certo, ma fa pensare visti i numeri e quel corridoio che si spinge fino al sub Sahara per giungere in quella polveriera che si chiama Libia.

Nel mezzo il vecchio continente, sprovvisto di una guida certa e sicura, autorevole e scaltra, ancora alle prese con difficoltà storiche come l'approccio al dossier energetico e la capacità di intecettare i grandi cambiamenti epocali che stanno interessando il mare nostrum.

 

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