Se come ebbe a dire Friederich Von Hayek “la proprietà privata è la più importante garanzia di libertà” l'Ue dovrebbe iniziare a ragionare anche di macro tematiche e di grandi svolte sociopolitiche prima di vertici come quello in scena a Varna, in Bulgaria, dove si discute di visti e di idrocarburi con il ras turco Erdogan.
Ovvero se davvero si intende ricostruire la matrice europeista non si può prescindere dal perimetrare che cosa si intende cesellare, su quali binari, perseguendo quali interessi e con quali interpreti. L'alternativa, come l'approccio con il dittatore di Ankara rivela, è un ircocervo a metà strada tra l'accettazione supina di dinamiche e contingenze da un lato, e la non costruzione di una progettualità uniforme e leaderistica dall'altro.
I nuovi fronti aperti da Ankara nel giorno del vertice Ue a Varna palesano l'euronervo da tempo scoperto. Di contro l'occasione del dossier turco può essere l'ultima che Bruxelles ha per decidere cosa fare da grande: se maturare, quindi prendere la patente o i voti (in senso di clausura geopolitica) e disegnare conseguentemente la nuova rotta che l'Ue dovrà prendere in vista del 2040, anno in cui un ventaglio di nuove sfide giungerà a destinazione.
Da un lato Ankara chiede a Bruxelles la liberalizzazione dei visti, l'estensione dell'unione doganale, la cooperazione di difesa e la ripresa dei negoziati di adesione, a cui l'Ue risponderà con la delusione per gli arresti in corso in Turchia, con il rifiuto di Ankara di modificare sostanzialmente la legislazione terroristica, con l'offensiva contro le milizie kurde YPG nel nord della Siria e con i recenti conflitti con Grecia e Cipro.
Erdogan però ha annunciato che lancerà una nuova operazione militare contro le milizie curde nella città irachena Sintzar, mentre ha promesso che l'esercito turco e i suoi alleati potranno riconquistare la città di Tal Rifaat nella regione di Aleppo nel nord della Siria, ora sotto il controllo dei curdi: "Se Dio vuole, faremo in modo di raggiungere l'obiettivo", ha detto Erdogan a Trabzon, sulla costa del Mar Nero.
Ma proprio per andare oltre l'ennesima emergenza è l'Europa che dovrebbe battere un colpo, questa volta nella direzione di una stagione nuova. Due sono le strade al momento che si profilano dinanzi all'Ue (e ad imprese e lavoratori compresi nei 500 milioni di cittadini): farsi interpreti della fase del tutto innovativa che il Mediterraneo sta attraversando, sempre più centrale per via delle policies legate agli idrocarburi e ai gasdotti e, quindi, dotarsi di una visione che sino ad oggi è mancata.
Oppure in secondo luogo ammettere candidamente il proprio disimpegno, tanto a est quanto a ovest, e dirigersi verso un'ordinata fine delle trasmissioni.
Pericoloso come epilogo, perché sarebbe lo stesso errore che, con perametri ambientali e circostanziali differenti, è stato commesso in altri fronti che da caldi sono diventati caldissimi e, un attimo dopo, ingovernabili come Libia e Siria. Un'iperbole?
Forse, ma il cambio di passo di Bruxelles tanto invocato dalla crisi delleuro in poi è stato solo minimo sino ad oggi. E non suficiente per governare fenomeni di caratura mondiale come quelli che si stanno verificando nel mare nostrum (nel costante disinteresse della politica italiana).
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