Elezioni, eccovi tre dati di realtà che non sentirete facilmente (neanche sui giornaloni)


Primo: la vittoria a valanga dei Cinquestelle non è automaticamente il trionfo del giovane Luigi Di Maio



Mentre tutti si interrogano su scenari possibili e governi probabili, ecco tre dati di realtà che, nel profluvio di opinioni, di commenti e di analisi, non sentirete facilmente. Primo: la vittoria a valanga dei Cinquestelle non è automaticamente il trionfo del giovane Luigi Di Maio che deve ancora mostrare di possedere la stoffa del leader e non si è mostrato di certo un trascinatore.

La vittoria dei M5S viene da lontano: è stata determinata anzitutto da un disastro chiamato Mario Monti e da un successivo lustro di miopia, di stupidità e di arroganza di tutti coloro che, da Renzi a Gentiloni a Calenda alla Boldrini a Grasso a Confindustria e chi più ne ha più ne metta, hanno provato a snobbare e sottovalutare prima e demonizzare poi la rabbia crescente degli italiani.

Il voto ai Cinquestelle non appare infatti come il sostegno ragionato ad un leader e ad una strategia, ma come un sonoro e liberatorio pernacchio all'insopportabile spocchia del politicamente corretto e alla stantia retorica terzomondista ed europeista. 

Secondo: il leader della Lega Matteo Salvini stravince la competizione interna al centrodestra e si afferma anche nel Sud perché scippa alla micro-destra familiare di Giorgia Meloni non solo lo slogan "Prima gli Italiani", ma anche le residue strutture ancora davvero esistenti nell'area che fu di pertinenza di Alleanza nazionale (la sportiva Asi e il sindacato Ugl in primis!) e anche perché l'ottantaduenne Silvio Berlusconi (cui comunque si deve il risultato di Forza Italia che altrimenti sarebbe scomparsa!) è stato costretto a snaturare se stesso indossando i panni del garante dell'establisment politico economico europeo.

Non potendosi candidare in prima persona e non potendo dar voce diretta a quella rabbia che anche lui percepiva, il Cavaliere ha dovuto rinculare sino ad indicare un premier come Antonio Tajani che fa a pugni con la voglia di rinnovamento. Il risultato è stato quello di consegnare un enorme vantaggio al leghista sempre più a suo agio nei panni del leader nazionale. 

Terzo: la scomparsa della destra politica, ferma al 4,2 per cento di Fratelli d'Italia. Una sconfitta bruciante. Se, del resto, accade (per la prima volta nella storia della Repubblica!) che oltre il 51 per cento dei votanti sceglie M5S e Lega, ovvero vota contro un sistema che la destra combatte da sempre, e non Fdi, una qualche domanda bisognerà pur porsela. E, magari, aprire le porte, provare ad allargare, a includere invece di rintanarsi e sopravvivere per uno strapuntino sicuro. Perchè al prossimo giro si rischia di non avere più neppure quello.

 

twitter@ImpaginatoTw