E se la Lega in Abruzzo (come nel centrosud Italia) facesse flop il 4 marzo? E se tutti i voti di destra e di protesta che non vanno al M5S né a Fdi (perché orientati ai missini di ieri) non fossero sufficienti per eleggere deputati e senatori cosa accadrebbe nell'universo balcanizzato e frastagliato della destra territoriale e quindi regionale?
Punto di partenza il quadro attuale. A destra, e soprattutto a destra delle destre, in tutta Italia c'è fermento: Fratelli d'Italia, anche se con percentuali al momento stabili tra il 5 e il 6%, presenta un forte radicamento nei territori ed una struttura classica con segretari e organi regionali.
Ciò ha consentito loro di comporre le liste rispettando quasi sempre (come dimostrano i mal di pancia di Armando Foschi in Abruzzo) il criterio della territorialità e della riconoscibilità dei candidati nei collegi di riferimento.
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Al livello nazionale paga in questo momento un mini isolamento di coalizione che non ha permesso loro di comporre quel polo sovranista più volte citato in passato, con la Lega e in chiave anti Ue.
Proprio i salviniani hanno di recente mutato pelle. Niente più referendum sull'euro, niente più guerra al meridione d'Italia “sfaticato e che non produce”, meno strali contro la moneta unica (anche se in Abruzzo il candidato di punta è il prof. noeuro Alberto Bagnai, iper critico verso il fiscal compact), grandi tour nelle città del sud come Palermo e Bari. E soprattutto la voglia di aprirsi ai territori.
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Alle scorse amministrative però l'exploit della Lega si è fermato al nord, dove in alcune zone della Lombardia ha superato il 20% e raggiunto addirittura il 30 in provincia di Varese, a Tradate, poi a Cantù, Meda, Castiglione delle Stiviere.
A Padova solo il 6, ma la lista civica di Massimo Bitonci ottenne al primo turno il 24 (il Pd solo il 13). Senza dimenticare che ad Alessandria, Piacenza, Lodi, Monza, la Lega è istato il secondo partito più votato dopo il Pd. Mentre è sceso sotto il 10% all’Aquila (6), Guidonia (8), Ladispoli (11) e San Felice Circeo.
Che c'entra allora il Msi-Dn? C'entra nella misura in cui in territori peculiari come quelli del centro e del sud Italia, tradizionale zoccolo duro della destra legata al Movimento Sociale di un tempo e dove il M5S non sta raccogliendo quanto seminato, quello spazio potrebbe essere occupato da un contenitore che riaggreghi e non che respinga pregiudizialmente, e che magari raccolga le firme come fatto ad esempio da Casapound e non invece dal Movimento Nazionale di Alemanno e Storace (già divisi dopo un solo anno di unione) che si è affiancato alla Lega ma senza un riconoscimento ufficiale, concesso invece da Salvini al localistico partito sardo.
Il rinato Msi-Dn è stato presentato nella sala stampa di Montecitorio da Francesco Proietti Cosimi, ex parlamentare ed ex segretario particolare di Fini, coordinatore nazionale. Non solo il vecchio simbolo con la Fiamma tricolore ma un trittico di promesse.
“Passione e non interesse” è la prima battuta di Proietti. “Non cerchiamo uno strapuntino e una poltrona. Lo facciamo perchè siamo ancora innamorati di questo simbolo e dell’idea di Italia che ha rappresentato. E perchè pensiamo che quell’idea possa ancora essere attuale e utile ai nostri concittadini” ha detto. Quindi nessuna corsa alle politiche del 4 marzo, ma un passo verso le prime elezioni utili in questo 2018, ovvero le amministrative.
“Oggi ci rimettiamo in gioco, sapendo di poter guardare chiunque in faccia. Noi pensiamo che in Italia ci sia bisogno di una vera destra, nazionale e sociale. Destra che non stia a rimorchio, ma sia trainante e non sia assoggettata a nessuno”.
E fa un appello: “A tutti gli innamorati della Fiamma tricolore che vivono in ogni parte d’Italia: samo certi che se soltanto una minima parte di chi ha simpatizzato o votato per il Msi-Dn di Almirante deciderà di riprovarci, di rimettersi in gioco, noi avremo vinto la nostra scommessa politica”.
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