14 Febbraio: San Valentino. Da giorni siamo ormai bombardati da spot radiofonici e televisivi, mentre sui social è corsa alla ricerca di aforismi e frasi celebri mirabilmente estrapolate e private del loro intrinseco, profondo significato per poi essere ricollocate tra autoscatti di dubbio gusto e penosi hashtag. Tre le sfavillanti vetrine si rincorrono baci e cuori, promesse d’amore e di romantico avvenire, mentre spaesati uomini e ragazzi vagano in stato confusionale tra gli scaffali delle gioiellerie, con lo sguardo tra l’afflitto ed il timoroso.
In questo ampio processo di consumo e mercificazione di quello che dovrebbe essere il più intimo e prezioso dei sentimenti, anche l’arte diviene, troppo spesso, puro mezzo al servizio dello scopo, con quel poco originale e sinceramente forzato collage di baci e abbracci tratti dai migliori dipinti o dai più celebri gruppi scultorei ed i relativi eventi a tema, non sempre di qualità.
Si ripete così ogni anno il martirio dei vari Hayez, Canova, Klimt, manipolati, svuotati e ridotti a puro vessillo a sostegno di un sentimento amoroso – quello oggi festeggiato – che spesso nulla ha a che vedere con l’opera e con le intenzioni di chi l’ha creata. “Il Bacio” di Francesco Hayez, ad esempio, esposto a Brera il 9 settembre del 1859, pochi mesi dopo l’arrivo di Vittorio Emanuele e Napoleone III nella città di Milano, rappresenta una magistrale sintesi di amor di patria, impegno politico-militare e sentimento privato: ideali che poco o nulla hanno in comune con l’odierno concetto di amore, più vicino all’egoismo e all’utilitarismo che a quello spendersi completamente per una causa. Così come lo splendido gruppo di “Amore e Psiche” o “Il Bacio” di Gustav Klimt: opere dense di significato (che vi invito ad approfondire), un significato fatto di forma che lentamente nasce dal lieve scorrere della luce sul marmo bianco, di colore che esplode in infinite variazioni tonali, che non può essere svenduto e ridotto a mero simbolo del nostro personale sentimento, per quanto vero e puro possa essere – o apparirci.
Cosa può dunque guidarci nella scelta del giusto evento culturale cui prender parte? Anche in questo caso un solo, semplice, elementare ma fondamentale termine: professionismo. Il professionista sarà in grado di esplicare ed elaborare eventi a tema, coerenti con con il patrimonio che è chiamato a tutelare e valorizzare, un patrimonio che, ricordiamolo, ha una dignità ed è portatore di dignità. Il professionista vi parlerà di amore, di sensualità, di baci e carezze, di sentimenti velati e rivelati, ma non svuoterà l’opera della sua essenza pur di non annoiarvi, trascurando ciò che è imprescindibile quando si parla di un dipinto, o di una scultura: il suo essere opera d’arte fatta di forma e materia, di storia e significato, perché nell’Arte, ricordiamolo, la forma è contenuto, e quando un artista guarda il mondo lo guarda innanzitutto come universo di forma e colore. Se non comprendiamo questo, e soprattutto se noi professionisti non lo trasmettiamo, ci ritroveremo ancora, nel 2018, con visitatori alla ricerca della rappresentazione di una donna in un Picasso, senza comprendere che Picasso non guardava la donna come donna, ma ancora una volta come forma che si muove nello spazio.
Abbiamo l’onere ed il dovere – un dovere che è anche morale – di non tradire l’arte e, così facendo, di non tradire noi stessi.
Non è l’Arte, non sono le opere a dover andare verso l’osservatore deformando sé stesse fino al tradimento. È l’osservatore che deve muoversi verso di esse, entrarvi dentro con passi lievi e rispettosi per scoprirne i valori – pittorici, formali, iconografici – senza esigere di ritrovarvi contenuti utili ai propri fini.
Una ricorrenza può essere un momento utile alla valorizzazione di alcuni capolavori.
Ma che sia una valorizzazione consapevole, profonda, fedele. Come l’AMORE.
Buon San Valentino.
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