Le riforme del Pd bocciate dalla sottosegretaria
La coerenza non fa parte del patrimonio dei candidati, proprio no. Qualche giorno fa, per esempio, è comparso sul profilo Facebook del governatore Luciano D’Alfonso l’elenco delle riforme approvate dal Pd nell’attuale legislatura: unioni civili, reddito di inclusione, legge contro gli sprechi alimentari, quella sul dopo di noi, la riforma del terzo settore, eccetera eccetera.
Tutte leggi approvate col contributo della parlamentare Pd Maria Amato, fortemente snobbata e osteggiata dai democrat locali, ma per esempio per la gran parte (basti pensare al testamento biologico) bocciate da Alternativa popolare, il partito della sottosegretaria Federica Chiavaroli, che è candidata con la coalizione del Pd. (Lei, per esempio, il giorno della votazione sul testamento biologico risultava in missione, e così quasi sempre, e le unioni civili le ha votate perché il governo ha messo la fiducia). Cosa non si fa per una poltrona.
Scambiamoci così, senza rancore
Gli inciucisti ci sono sempre stati. E questa volta ancora di più. Di scambi da un partito all’altro, o di vicendevoli favori, le liste sono piene. Intanto a Pescara il Pd dovrà inghiottire Federica Chiavaroli, ex coordinatrice del Pdl che ora, a dirla con Travaglio, ha tolto la “l”.
Di contro, l’ex Pdl e cioè gli attuali forzasti, si ritrovano in lista e per di più all’Aquila, Antonio Martino, imprenditore a quanto pare di successo con ristoranti a Cortina e uffici sul lungomare di Pescara, immobili prestigiosi, sponsor dell’Atalanta e soprattutto figlio del funzionario Dc Carmine (addetto alla presentazione delle liste dai tempi dello Scudocrociato fino alla Margherita, quindi con potere di vita e di morte sui candidati) e fac totum dell’ex presidente del Senato Franco Marini. Lui, ex militante del Pd e ospite di peso alla Leopolda, alla fine è caduto nelle braccia di Berlusconi e soprattutto del coordinatore regionale Nazario Pagano. Chissà perché.
Camillo, una vita in politica: ma proprio tutta
E adesso che si vota, tutti diventano improvvisamente più buoni e soprattutto più social. Persino Camillo D’Alessandro si è fatto un blog autocelebrativo. Dal quale si ricava: uno, che per andare in giro per l’Abruzzo si è noleggiato una macchina che sembra un carro funebre; due, che sull’”About me” che significa “su di me” , capitolo dedicato all’autobiografia all’interno del blog e che lui tratta invece in terza persona, c’è la sua storia professionale e politica, ma più politica che professionale. Insomma, se una cosa si evince dal suo curriculum, in cui orgogliosamente scrive che si è laureato alla D’Annunzio in Economia aziendale e che poi ha conseguito l’abilitazione da dottore commercialista e revisore dei conti, è che non ha mai lavorato ed ha sempre e solo vissuto di politica, d’altronde come la maggior parte dei politici dei nostri giorni. “Impegnato in politica, sin da giovanissimo, è stato eletto a ventitré anni nel collegio di Orsogna”. Se uno viene eletto a 23 anni difficile che possa aver lavorato. (Molto spesso i lavori che esibiscono i candidati non sono lavori ma incarichi, di derivazione politica). Non c’è niente di male, ma giusto per sapere.
Si vota: e vai con canottiere e megafoni
A proposito dell’altra faccia dei candidati: tutti con gli occhi puntati su D’Alfonso, anche perché non ce la fa proprio a passare inosservato. Per esempio ieri, dopo aver tappezzato la sua bacheca Facebook di foto da ragazzo (tutti in campagna elettorale mostrano il loro lato umano e più buono per strizzare l’occhio agli elettori, ma qui il gioco è abbastanza ingenuo e scontato; stendere un velo pietoso sulla canottiera), è andato a Capitignano a distribuire casette ai terremotati.
La scena è da post-regime: con i bambini ad applaudire, le mamme, la diretta social, il parroco eccetera eccetera. Un’iniziativa che è stata rampognata dal parlamentare grillino Gianluca Vacca:
“Abusare del proprio ruolo istituzionale per fare campagna elettorale, nonché strumentalizzare i terremotati a fini propagandistici personali dovrebbe essere vietato dal buon senso, e forse anche dalle norme vigenti”.
Verissimo. Ma tra le casette di emergenza spiccava, stonato e inopportuno, il megafono che Dalfy ha esibito con un nuovo rivestimento in cuoio, coordinato con il guantino, accoppiamento probabilmente suggerito dal suo cerimoniere: è d’altronde proprio con lui che il megafono ha fatto la sua prima apparizione tra gli attrezzi del presidente, in occasione dell’inaugurazione del ponte Flaiano. Al peggio non c’è mai fine.
L’amaro Rotondi
Ma alla fine il post più eclatante l’ha scritto Gianfranco Rotondi, uno dei paracadutati di Berlusconi in Abruzzo:
“Il principale mio merito verso il collegio abruzzese è di aver imposto l’amaro d’Abruzzo in tutti i ristoranti che frequento nelle venti regioni italiane”.
Si scatena un apriti cielo, polemiche, prese per i fondelli (il commento più spiritoso che è riuscito a rimediare è di Alfonso Piscitelli: “Adesso però bisogna promuovere anche quella bellissima canzone nazional popolare che si intitola “E vola vola vola lu pavone”). Inutilmente lui, a distanza di giorni ha tentato di metterci una pezza, sostenendo di aver fatto dell’ironia. Manca di sapere a questo punto cosa ha fatto per l’Abruzzo, a parte l’amaro.
Stress da candidatura
Ma lo stress da candidatura ha investito in pieno anche il governatore che sembra essere accecato dall’odio nei confronti delle donne, o perlomeno di alcune donne. Gli capita spesso con l’europarlamentare Daniela Aiuto, con la quale è stato protagonista di un siparietto imbarazzante (per lui). Ma restando sull’argomento, in una discussione sui social col sempre arguto Augusto Lino, si è cimentato in commenti assurdi (che potete vedere nelle foto sopra).
Della serie: “Augusto, l’on. Ostacolo (la chiama così) sarà inibita. Mi risulta che un gruppo di abruzzesi ha presentato istanza al tribunale civile per attivare la sua decadenza, poiché la funzione parlamentare svolta si è rivelata in contrasto con le aspettative del popolo. Gli abruzzesi chiedevano e chiedono collegamenti aerei!”. Insomma, se bastasse rivolgersi a un tribunale civile non per fare cause ai giornalisti ma per ottenere la rimozione di politici incapaci, forse in molti non starebbero già da un pezzo al proprio posto.
Il caro-elezioni sulle spalle degli abruzzesi
Anche la stampa nazionale punta gli occhi sull’Abruzzo, e c’è un perché: Dalfy è l’unico presidente di Regione a candidarsi al Parlamento, a parte la Serracchiani che però è in scadenza. In questo caso proprio La Stampa, sul Punto di qualche giorno fa a cura di Paolo Festuccia, ha sottolineato lo strano caso dell’Abruzzo: è una fandonia che con la sua candidatura ci guadagni l’Abruzzo, come dice spesso il governatore, l’unico che ci guadagna è lui.
“Se il voto lo premierà (e non abbiamo dubbi visto che è il capolista nel proporzionale del partito democratico) in un solo colpo terrà sia l’ambita poltrona a Palazzo Madama sia tutte le guarentigie che spettano ai senatori eletti (ivi compresa l’immunità parlamentare), mentre agli abruzzesi non resteranno che le urne anticipate di oltre un anno. Ma rassicura i cittadini pescaresi D’Alfonso che con lui l’Abruzzo andrà direttamente al governo, anche se nel frattempo i suoi concittadini pagheranno il costo finanziario e il peso di una nuova tornata elettorale vista l’incompatibilità tra le due cariche. Bazzecole-continua Festuccia – quisquilie e pinzillacchere direbbe Totò di fronte all’opportunità di governo eterno che il presidente uscente promette gli abruzzesi”.
La Stampa eh, mica Travaglio.
Tutti uniti, ma solo in apparenza
Buoni e allineati. Nonostante i mal di pancia per le candidature e per le esclusioni (o le inclusioni) eccellenti, alla presentazione dei candidati di Forza Italia a Pescara si sono presentati tutti, ma proprio tutti. Compresi il parlamentare uscente Fabrizio Di Stefano (che ora spera di potersi candidare alla presidenza della Regione, ma non tiene in considerazione che dopo una coltellata, gliene potrà arrivare tranquillamente un’altra da parte di Pagano, tanto la colpa, dirà, sarà sempre di Berlusconi), il consigliere regionale Mauro Febbo, e tanti altri. Gli sguardi, però, tradiscono tutto.
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