Il film scritto e diretto dal cantautore di Correggio non è solo dedicato ai fanatici di Campovolo. Le sue canzoni sono il filo conduttore della storia, certo. Ma la storia ha un senso per tutti: è quella dell’assoluta maggioranza di noi, una storia comune, spesso di sconfitta, dei nostri giorni.
“Cosa ci faccio qui?” è la domanda. “La mia parte”, risponde Sara (interpretata dalla Smutniak). Lei sta con Riko (Accorsi) da molti anni (“forse troppi” dice ad un’amica) un po’ intrappolata in un matrimonio di reciproci tradimenti, incomprensioni e silenzi. Come tanti.
Hanno un figlio con ambizioni da cineasta che vuole andare a studiare al DAMS a Bologna; mentre loro vivono una quotidianità ormai solo ripetitiva, claustrofobica e frustante. Se non fosse per gli amici. Una cerchia di amici stretti, che c’è sempre, soccorre ad ogni mancanza, fa ridere e sorridere e soprattutto consola. Ascolta. In un’intervista alla radio ho sentito Ligabue dire di avere parlato di se stesso e del suo modo di vivere l’amicizia.
Qualcosa di indispensabile che salva da ogni disperazione. Riko lavora da vent’anni in un salumificio dove si lavorano mortadelle. Sara è parrucchiera. Il film è ambientato in Emilia, una perfetta ricostruzione del mondo padano. Lavoro, socialità, cibo e vino insieme, si balla, ci si diverte. In apparenza un’esistenza lineare ed anche a tratti felice. Ma il regista non si sottrae a parlare delle complicazioni, quelle vere: perdere il lavoro a quarant’anni, essere schiavi del vizio del gioco, sperimentare la depressione ed il più cupo senso di fallimento esistenziale, constatare di avere tra le mani una storia d’amore sgretolata.
A tratti c’è un po’ di retorica, è vero, ma è tutto realtà quello che succede ed i protagonisti sono degli eroi del nostro tempo, quando riescono a non farsi schiacciare dalle difficoltà e si rialzano dopo essere caduti. Carnevale, l’amico artista con uno pseudonimo che dimostra che non ha mai lavorato in vita sua, anche se non è affatto capace di risolvere i propri problemi, è bravissimo ad aiutare e consigliare Riko: lo esorta a non farsi spaventare dai cambiamenti ma a considerarli un’occasione di riscatto e rinascita. Seguirete le sorti dei personaggi della storia al ritmo delle canzoni dell’autore, da Ho fatto in tempo ad avere un futuro a Un’altra realtà a Made in Italy.
Il messaggio è quello che non è lamentandosi che si risolvono i problemi, non è ripiegandosi su se stessi o reagendo con violenza sulle persone più vicine a noi che da quei problemi riusciremo a trovare una via di uscita. Il film ha anche dei passaggi “impegnati” sotto il profilo sociale perché fotografa lo spaesamento della vera classe operaia di fronte all’instabilità del lavoro, oggi.
Ma non c’è ipocrisia, come vedrete nell’episodio della liberatoria gita a Roma che si trasforma per Riko in un brutto incidente di percorso, nel tentativo di unirsi ad una protesta a difesa dell’articolo 18 e dei diritti dei laboratori.
Nonostante tutto, rimane il legame fortissimo con la propria casa e la propria terra, quella pianura intorno al Po (il fiume buono che salva Riko); ma anche, lo dice il titolo e la canzone del film, con l’Italia (ci sono diverse belle città, da Vigevano ad Ascoli Piceno, l’Italia piccola che nessuno racconta).
Ho trovato bellissima quanto rara la citazione di Cesare Pavese (La luna e i falò) a dare un senso alle scelte del protagonista: “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei, resta ad aspettarti”.
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