Non c'è solo la vulgata trumpiana sul protezionismo a caratterizzare questo inizio di anno. Per dire, il governo tedesco sta valutando se e come proteggere determinati asset dalla concorrenza cinese senza che i media gridino al ritorno al passato.
Solo chirurgiche mosse in una partita a scacchi che nessuno sta giocando secondo le regole. Ma fisiologicamente inseguendo un proprio profitto, al netto dei chili di retorica che si leggono.
L'importanza della Silicon Valley per gli Stati Uniti è un esempio tangibile, sul quale proprio Pechino ha lanciato un'opa significativa. Come? Realtà come Google, Apple, Amazon, Facebook e Microsoft che valgono miliardi in borsa e hanno miliardi di clienti in tutto il mondo, presentano un'eccezione proprio in Cina dove 1,4 miliardi di cinesi devono invece utilizzare i servizi nazionali.
Lo scopo è consentire loro di diventare realtà di livello mondiale e, quindi, fare concorrenza alla Silicon Valley.
La cosiddetta guerra fredda tecnologica tra Pechino e il resto del mondo è iniziata ormai da tempo, ma non è solo la classica tecnologia a farla da padrone, bensì un settore completamente nuovo ma assolutamente dirimente per le sorti commerciali dei continenti interessati: l'energia.
Il nodo si stringe attorno al North Stream 2. Lo scorso giugno il Senato americano ha approvato un emendamento a una proposta di legge che intensifica le sanzioni alla Russia sul caso Ucraina. Il risultato sarebbe quello di colpire le imprese europee interessate al gasdotto che, nelle intenzioni, dovrebbe raddoppiare il quantitativo di gas dalla Russia alla Germania, passando sotto al Mar Baltico.
Ma se da un lato il progetto aumenta la sicurezza energetica dell'Europa secondo il governo federale, dall'altro lo riduce secondo la tesi del segretario di Stato americano Tillerson. Washington non vuole l'oleodotto, anche perché ad esempio il gpl americano vedrebbe come un feroce concorrente il gas naturale russo condotto in Europa proprio dal gasdotto North Stream 2.
Ma c'è dell'altro, ovvero l'influenza strategica che si verrebbe a creare con quel gasdotto in una macroregione dove le attenzioni delle sette sorelle del petrolio mondiale si sono già da tempo intensificate.
Il polo nord che si scioglie progressivamente di un tot all'anno, apre nuove rotte per navi porta containers e per rompighiaccio a caccia di petrolio. Mezzi cinesi di utima generazione stanno scandagliando quel fazzoletto di ghiacci a caccia di nuove risorse. E con l'obiettivo di piazzare una bandierina che significa più potere e più lotta per conquistarlo.
Ma sarebbe da bacchettoni scandalizzarsene: gli Stati non sono enti benefici, al pari di multinazionali che danno lavoro a migliaia di persone e nascono per fare pil. Il problema è di chi non riesce ad essere più bravo dell'altro, quindi come la volpe e l'uva dice che non gli interessa.
Da sempre Stati Uniti garantiscano essenzialmente la protezione delle rotte commerciali internazionali attraverso le loro alte spese militari. Come la Francia in Libia con i propri mezzi e in Niger da qualche tempo anche con i nostri.
Ciò che resta un mistero è come mai, nonostante i tempi di crisi, gli altri Paesi continuino a fare un intenso lavoro in tutto il mondo anche grazie alle singole ambasciate, mentre Roma ha deciso di chiuderle progressivamente. Affidandosi alle briciole che cadono dal piatto altrui.
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