E' nei borghi arroccati tra le verdeggianti colline, eredi di un storia che affonda le radici in un passato remoto e glorioso fatto di vestigia romane e fortificazioni carolinge, che le nostre meraviglie regionali riposano solitarie e discrete, come nel piccolo paese di Moscufo, in provincia di Pescara.
Disteso lungo il colle che domina la valle del Tavo, esso conserva infatti diversi beni culturali d'interesse, dalla chiesa parrocchiale di San Cristoforo - oggi ammirabile nella veste Settecentesca, internamente ornata dagli stucchi di Ambrogio Piazza e da pregiati arredi lignei - alla suggestiva cappella di Sant'Antonio, con resti dell'originaria pavimentazione in cotto, a pregevoli architetture civili come il settecentesco Palazzo de Ferri.
Ma è poco fuori dall'abitato che si erge il più importante dei monumenti: la chiesa abbaziale di Santa Maria del Lago. L'edificio, citato dalle fonti sin dall'anno 969, è nella sua configurazione attuale l'esito dei rifacimenti attuati nel XII secolo, gli anni in cui Moscufo divenne feudo del monastero benedettino di San Clemente a Casauria.
La storia di questo fabbricato è scandita da diversi interventi e manomissioni, la più importante nel 1733, quando venne attuata una vera e propria trasformazione strutturale, sia interna che esterna, con profonde modifiche in facciata. Un ampio ed accurato restauro, nel 1960, ha provveduto a ripristinare l'aspetto originario della chiesa, che è stata spogliata di tutte le aggiunte posticce.
Le tre navate di questo impianto tipicamente benedettino si concludono in altrettante absidi, che all'esterno si caratterizzano per il movimento decorativo di stampo romanico conferito dalle arcatelle su mensole e dalle finestre riccamente incorniciate da motivi vegetali e zoomorfi.
Il medesimo motivo si ritrova lungo le pareti laterali, per lasciar posto invece in facciata all'assoluta semplicità dell'omogeneo sovrapporsi dei mattoni, su cui gli unici elementi che emergono sono l'austero rosone – ripristinato negli anni Sessanta- ed il portale ad arco a tutto sesto in pietra scolpita e riccamente decorata a bassorilievo, secondo una tipologia che ritroviamo in Santa Maria di Bominaco e San Clemente a Vomano.
All'interno la chiesa custodisce opere di grande rilievo, tra queste il prezioso ambone ideato da Nicodemo da Guardiagrele nel 1159, una delle opere scultoree più importanti dell'arte medievale abruzzese. Realizzato tramite la sapiente giustapposizione di diversi materiali – il marmo delle colonne, la pietra della struttura portante ed un misto di pietrisco e calce dal colore rosato – presenta una struttura architettonica simile ad altri pulpiti ma mostra estrema originalità ed indiscusso genio nel ricco impianto ornamentale.
Quattro colone lisce e lineari sorreggono la cassa sulla quale la decorazione fiorisce con forza ed eleganza, snodandosi dai capitelli ai parapetti, dove complessi motivi ad intreccio geometrico carichi di reminescenze longobarde si alternano a raffigurazioni umane ed ai quattro simboli degli Evangelisti, raffigurati quasi a tutto tondo, fortemente aggettanti.
La decorazione, briosa e fiabesca, è esaltata dai resti dell'antica colorazione policroma di quest'opera che, come altre dello stesso artista, è espressione concreta dell'incontro delle diverse culture figurative – longobarde, arabe, celtiche, e mediterranee – che nella cultura Normanna, di cui l'Italia meridionale era pregna nel XII secolo, convivevano mirabilmente.
Notevoli sono inoltre i capitelli delle colonne poste tra le navate, in gran parte attribuiti anche questi a Nicodemo, e gli affreschi, i cui resti sono visibili lungo tutte le pareti della chiesa ed, in particolare, nell'abside centrale, in cui spicca il grandioso Giudizio Universale riferito alla fine del Duecento.
Un prezioso scrigno dunque, questo di Santa Maria del Lago, tutto da scoprire.
L'Abruzzo è quella terra nella quale l'”Incolta” bellezza si manifesta inattesa e sorprendente nei luoghi più intimi e solitari, lontana dai clamori, quasi una sorta di omaggio a chi ha la volontà e l'ardore di spingersi oltre il confine fisico, e spirituale, del quotidiano ed abituale incedere.
Per coglierla occorrono nuovi occhi, animati di consapevolezza, nuovi passi curiosi e decisi, occorre spalancare a ventaglio le più intime percezioni e lasciarle vibrare dinanzi a luci e colori, suoni e profumi, senza timori ed inutili indugi, affinché la nostra pelle, ormai divenuta impassibile corteccia, torni a sussultare. Predisporsi alla bellezza è come predisporsi all'amore.
Perché c'è un termine che accomuna arte ed amore: sentimento, nel suo senso etimologico di “sentire, percepire con i sensi”.
Ricominciamo a guardare.
Torniamo a sentire.
Impariamo a cogliere.
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