Ognuno basta a se stesso, ma in fondo nessuno si salva da solo


La Corte di Appello di Roma ha esteso il criterio della sentenza spartiacque della Cassazione in materia di divorzio anche alla fase della separazione


di Teresa Lesti
Categoria: RiMediamo
26/01/2018 alle ore 11:38

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La Corte di Appello di Roma, con un recente provvedimento, in merito alla valutazione sulla opportunità della previsione di un assegno di mantenimento al coniuge, estende il criterio della sentenza spartiacque della Cassazione del 10.05.2017 in materia di divorzio anche alla fase della separazione.

Quale sarebbe questo criterio rivoluzionario? Prima della sentenza appena richiamata, uno dei criteri a cui i giudici si conformavano nella valutazione e nella quantificazione dell’assegno di mantenimento al coniuge era il c.d. ”tenore di vita”.

Questo comportava che, quando due coniugi si separavano, vi era una comparazione dei loro redditi e dei loro cespiti patrimoniali alla luce della quale il coniuge più debole aveva diritto ad un contributo di mantenimento (assegno) che gli permettesse di continuare a conservare il medesimo tenore di vita avuto durante il matrimonio.

Ora le cose, sembrerebbe, non stanno più così! Nella fase della separazione, come in quella successiva del divorzio, l’unico criterio da tenere in considerazione diventerebbe quello della autosufficienza economica, che farebbe venir meno il dovere dell’ex di continuare a “mantenere” la moglie capace invece di provvedere a se stessa.

Parlo di mogli perché nella statistica dei tribunali, così come nella dialettica comune, è quasi sempre il marito a dover continuare a provvedere alla moglie che, nonostante magari un proprio lavoro, ritiene le sia “dovuto” un contributo.

Ma a dire il vero ci sono anche situazioni, per quanto minoritarie, in cui sono le donne ad aiutare i propri ex mariti, se coniugi più deboli, o comunque a non pretendere nulla se guadagnano o hanno proprie entrate economiche.

Quindi, come in ogni scenario della vita, anche nei tribunali, ci sono donne che pretendono e donne che rinunciano ad un diritto se non lo ritengono giusto.

Ma, un aspetto mi interessa particolarmente: tutta questa attenzione sul dato economico delle separazioni non tralascia altri aspetti, che sono “forse” altrettanto importanti?

Indubbiamente, se “il coniuge” non ha un lavoro e non ha la possibilità di vivere dignitosamente, è opportuno che la legge preveda - come da sempre statuisce - un contributo economico da parte dell’ex, con cui fino a quel momento vi era un vincolo giuridico, morale e materiale, ma bisogna stare molto attenti alle strumentalizzazioni eccessive degli aspetti economici nella separazione, al fine di evitare di trascinare in questi ultimi anche quelli genitoriali e relazionali.

Mi chiedo, ma se due coniugi, alla luce della loro decisione di separarsi, intraprendessero un percorso di confronto su ogni aspetto che li riguarda, per scegliere insieme come riorganizzarsi, tutelando i minori, se ci sono, non si eviterebbero battaglie vergognose sui soldi che spesso non sono altro che strumento di tortura dell’altro?

Il significato del denaro in mediazione rappresenta uno dei temi più interessanti con cui ho lavorato insieme alle mie coppie: la mia esperienza mi ha insegnato come, quando ci si “incontra” su un piano di dignità e di riconoscimento reciproco come persone e come genitori, anche gli economici economici diventano più leggeri e vengono negoziati serenamente tenendo in considerazione le reali esigenze o difficoltà dell’altro.

Vorrei soffermarmi un attimo sul termine “giusto” o “giustizia” nelle separazioni e nei divorzi.

Ebbene, il “Giusto” dopo un dialogo, un confronto, un percorso non è il “giusto” della stanza dell’avvocato o dell’aula di un Tribunale nel pieno del conflitto.

Quindi, ben vengano sentenze che parlano di una giustizia normativa astratta sociale e culturale, molto meglio quando questi nuovi criteri, forieri di nuova civiltà giuridica verranno attuati anche con scelte responsabili e dignitose come per esempio quella della mediazione familiare.

La scena finale di un bellissimo film che racconta la separazione di due persone, incastrate in dinamiche di dolore personale e familiare, parla, a mio avviso, della forma di giustizia più vera che l’essere umano possa sperimentare: quella sostanziale

Ebbene, in questa scena lei è alla finestra, lui sta andando via dopo aver riaccompagnato i figli dalla madre, si guardano, si sorridono, lei ricomincia a mangiare (soffriva di disturbi alimentari), lui comincia a saltellare.

Era stato un grande amore il loro, ma era finito! Restava un grandissimo amore condiviso per i loro figli: vi era stato un momento di passaggio doloroso e litigioso, dove l’uno non avrebbe, comunque, potuto fare a meno dell’altro, perché in fondo “nessuno si salva da solo”.

Quindi, ben venga il criterio dell’autosufficienza economica se ci permette di sentirci più liberi e meno arrabbiati con l’altro, ma la vera libertà potrà essere solo il prezzo di un acquisto ben più salato: quello del riconoscimento dell’altro, come persona e come genitore.

La legge lavora su un piano di riconoscimento ideale ed astratto di giustizia, noi operatori del settore dobbiamo impegnarci per creare una rete che renda concreti questi valori e realmente applicabili tra le persone in materie, come quelle del diritto di famiglia, dove le persone devono essere al centro, soprattutto se minori!

 

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